Banche dati professionali (ex 3270)
Domande di autorizzazioni a procedere della XIII Legislatura

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16
DOC4-0015
DOC IV n. 15 Legisl. XIII
09-06-98 [ DOC13-4-15 DO C134 0015 13DOC4 00015 DOC13-4-15A 13DOC4 00015 A 003400152 DOC4 00015 000004 001500000101003400SI1 34 000101001514SI1 15 0000 00 00 ]
  DOMANDA DI AUTORIZZAZIONE ALL'ESECUZIONE DELLA MISURA
  CAUTELARE DELLA CUSTODIA IN CARCERE, ALLA UTILIZZAZIONE DI
  CONVERSAZIONI TELEFONICHEINTERCETTATE NONCHE' ALLA
  ACQUISIZIONE ED ALLA UTILIZZAZIONE DI DATI DEL TRAFFICO
                          TELEFONICO
                  nei confronti del deputato
                           GIUDICE
  nell'ambito del procedimento penale n. 1232/96/D.D.A. per
  il reato di cui agli articoli 81, capoverso, 416, comma
  secondo, e 416-  bis,  commi primo e terzo, del codice
  penale (associazione per delinquere e associazione di tipo
  mafioso, continuate e aggravate); per concorso - ai sensi
  dell'articolo 110 del codice penale - nel reato di cui agli
  articoli 216 e 237 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e 7
  della legge 12 luglio 1991, n. 203, di conversione del
  decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (bancarotta fraudolenta,
  aggravata); per il reato di cui agli articoli 81, capoverso, e
  648-  bis  del codice penale, e 7 della legge 12 luglio
  1991, n. 293, di conversione del decreto-legge 13 maggio 1991,
  n. 152 (riciclaggio, aggravato); per concorso - ai sensi
  dell'articolo 110 del codice penale - nel reato di cui agli
  articoli 81, capoverso, dello stesso codice, 2621 del codice
  civile e 7 della legge 12 luglio 1991, n. 203, di conversione
  del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (false comunicazioni
  sociali, aggravate); per concorso - ai sensi dell'articolo 110
  del codice penale - nel reato di cui agli articoli 216 e 223
  del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e 7 della legge 12
  luglio 1991, n. 203, di conversione del decreto-legge 13
  maggio 1991, n. 152 (bancarotta fraudolenta, aggravata); per
  il reato di cui agli articoli 629, commi primo e secondo, del
  codice penale e 7 della legge 12 luglio 1991, n. 203, di
  conversione del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152
                   (estorsione, aggravata).
          TRASMESSA DAL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
             PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI PALERMO
                       il 9 giugno 1998
 
                              Pag.2
 
  All'onorevole Presidente
  della Camera dei Deputati
                                                          Roma
                                       Palermo, 9 giugno 1998.
  Oggetto: Richiesta di autorizzazione a norma dell'articolo 68
  della Costituzione nei confronti dell'onorevole Gaspare
  Giudice.
     Trasmetto le allegate richieste di autorizzazione a norma
  dell'articolo 68 della Costituzione, e copia degli atti
  relativi, tutte concernenti l'onorevole Gaspare GIUDICE, per
  le determinazioni di competenza.
                        Il Procuratore
                   Il Sost.  Proc. Generale
                       della Repubblica
                       Dr. Carlo Licari
                                        Palermo, 8 giugno 1998
                 Al Sig.  PROCURATORE GENERALE
                       della REPUBBLICA
                  presso la CORTE di APPELLO
                                                          SEDE
  Oggetto: Richiesta di autorizzazione a norma dell'articolo 68
  della Costituzione nei confronti dell'onorevole Gaspare
  Giudice.
      Si trasmettono le allegate richieste di autorizzazione
  all'esecuzione della misura cautelare della custodia in
  carcere e di autorizzazione alla utilizzazione di
  conversazioni telefoniche intercettate ed alla acquisizione ed
  alla utilizzazione di dati del traffico telefonico - corredate
  da copia degli atti del procedimento n. 1232/96/D.D.A.
  nell'ambito del quale è anche indagato l'onorevole Gaspare
  GIUDICE - per l'inoltro al Sig.  Presidente della Camera dei
  deputati per i provvedimenti di competenza.
                   I sostituti procuratori:
                        Gaspare Sturzo
                       C. Gaetano Paci
                        I procuratori
                    della Repubblica agg.
                         Luigi Croce
                        Guido Lo Forte
 
                              Pag.3
 
                   PROCURA DELLA REPUBBLICA
                PRESSO IL TRIBUNALE DI PALERMO
               DIREZIONE DISTRETTUALE ANTIMAFIA
  Procedimento penale n. 1232/96
  RICHIESTA DI AUTORIZZAZIONE ALL'ESECUZIONE DELLA ORDINANZA DI
  CUSTODIA CAUTELARE EMESSA DAL G.I.P. NEI CONFRONTI DELL'ON.
                       GASPARE GIUDICE
      All'onorevole PRESIDENTE della CAMERA dei DEPUTATI
                                                          ROMA
                    IL PUBBLICO MINISTERO
      Letti gli atti del procedimento penale n. 1232/96 a
  carico dei seguenti indagati:
        1) PANZECA Giuseppe di Gioacchino e di DI GESU' Rosa
  Maria, nato a Caccamo (Pa) il 18.11.1956, residente a Palermo
  in via Isidoro La Lumia n.11, coniugato;
        2) GIUDICE Gaspare, di Giovanni e di DI MARTINO Maria
  Teresa, nato a Canicattì il 04.03.1943, residente a Palermo
  via Croce Rossa 28;
        3) CIACCIO Giorgio, nato a Caccamo il 30 gennaio 1950,
  residente in Palermo via Del Fante n.56/a;
        4) BAZAN Gaspare, nato a Palermo, il 28.06.1947 ed ivi
  domiciliato via A. De Gasperi n. 181;
        5) LO BUE Dario, nato a Palermo il 02.07.1951;
        6) MANDALA' Antonino, di Nicolò e di GANDOLFO Angela,
  nato a Villabate il 25.03.1939, ivi residente Via E. Amari
  n.4, P.VI.
        7) DOLCE Giovanni Francesco, nato a Polizzi Generosa il
  08.03.1947, residente in Palermo via G. Ventura 5;
         8) DOLCE Sebastiano, nato a Polizzi Generosa il
  24.11.1955, residente in Palermo via G. Ventura 15;
         9) SAVOJARDO Maurizio, nato a Caccamo il 27.05.1953,
  ivi residente corso Umberto I n. 49;
        10) CIACCIO Nicolò, nato a Caccamo il 30.11.1943, ivi
  residente via Roma 135;
        11) STANFA Rosalia, nata a Caccamo il 29 luglio 1952,
  ivi residente in via Liccio, n.3;
 
                              Pag.4
 
        12) BATTAGLIA Salvatore, nato a Caccamo (PA) il
  19.04.1956;
        13) CATANESE Salvatore, di Vincenzo e di ALONGI
  Domenica, nato a Caccamo il 15.06.1936, ivi residente Via Del
  Carmine n.44;
        14) LO BELLO Leonardo, fu Agostino e fu LO PRESTI
  Giuseppa, nato a Termini Imerese il 29.05.1935, ivi residente
  in Via Milano n.4;
        15) PARRINELLA Cosimo, fu Salvatore e fu OLIVIERI
  Grazia, nato a Trabia il 05.09.1945, ivi residente in Corso La
  Masa n.86;
        16) PRIOLO Antonino, nato a Ciminna il 23.4.56,
  residente a Palermo in via Crispi n. 258;
        17) GIUFFRE' Antonino, nato a Caccamo il 21 luglio
  1945, ivi residente in via Liccio n.3 attualmente
  latitante;
        18 GUZZINO Diego, nato a Caccamo l'11 febbraio 1948,
  ivi residente in via Grillo, n.2.
                           INDAGATI
  GIUDICE Gaspare:
        1) del delitto di cui agli artt. 81 cpv, 416, comma 2^,
  e 416-  bis,  commi I^ e III^, c.p., per aver preso parte
  attivamente ed in modo rilevante alle attività
  dell'associazione mafiosa  Cosa Nostra-  ed in
  particolare dell'articolazione territoriale facente capo al
  mandamento  di Caccamo ed ai suoi principali esponenti,
  tra i quali DI GESU' Lorenzo, GAETA Giuseppe, BIONDOLILLO
  Giuseppe, GIUFFRE' Antonino e PANZECA Giuseppe, delle famiglie
  di S. Maria di Gesù e di Corso dei Mille ed ai loro principali
  esponenti, tra i quali GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo,
  D'AGATI Giovanni, VERNENGO Pietro e di altri uomini d'onore,
  tra i quali CALO' Giuseppe - avvalendosi quindi della forza di
  intimidazione del vincolo associativo e della condizione di
  assoggettamento ed omertà che ne deriva per commettere
  delitti; per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione
  o, comunque, il controllo di attività economiche, di
  concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici;
  per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e gli
  altri, mediante le seguenti principali condotte:
        contribuendo in modo determinante ad aiutare diversi
  esponenti mafiosi del mandamento di Caccamo e di altre
  articolazioni territoriali di Cosa Nostra - tra i quali
  Lorenzo DI GESU', Pippo CALO', i fratelli Giuseppe ed Alberto
  GAETA - a realizzare operazioni bancarie presso la filiale
  della Sicilcassa di Termini Imerese Alta, ove egli ha prestato
  servizio in qualità di direttore dal 3 marzo 1980 sino al 3
  ottobre 1985, finalizzate al riciclaggio ed al reimpiego del
  denaro proveniente dalle loro attività illecite;
        svolgendo il ruolo di intermediario tra il "gruppo
  PANZECA" ed il gruppo mafioso di Carlo GRECO, Lorenzo
  TINNIRELLO, Giovanni D'AGATI, VERNENGO PIETRO ed altri al fine
  di consentire al primo di inserirsi nel settore delle società
  nautiche nel quale il secondo era già integrato ed a questo di
 
                              Pag.5
 
  disporre dei capitali e delle risorse economiche provenienti
  dal primo gruppo per acquisire una posizione di egemonia;
        concorrendo alla gestione delle società nautiche MARINA
  UNO, GENTE DI MARE ed IL SALPANCORE in modo da preservare
  l'integrità degli interessi del gruppo mafioso di GRECO Carlo,
  impedendo che questo venisse coinvolto nella crisi economica
  che aveva travolto BAZAN Gaspare e facendo affluire in queste
  società i capitali del "gruppo PANZECA";
        strumentalizzando i propri compiti di funzionario della
  SICILCASSA al fine di avvantaggiare il "gruppo PANZECA",
  notevolmente esposto verso il predetto Istituto, mediante una
  serie di condotte poste in palese violazione della corretta
  prassi bancaria.
      Dal 1980 sino al 13 settembre 1982, ai sensi
  dell'articolo 416 c.p., e con le aggravanti previste dai commi
  2^, 4^ e 5^; dal 14 settembre 1982 sino ad oggi, ai sensi
  dell'articolo 416-  bis  c.p. con le aggravanti di cui ai
  commi IV e VI dello stesso articolo per far parte di una
  associazione armata, avendo la disponibilità di armi ed
  esplosivi per il conseguimento delle finalità
  dell'associazione, e per avere finanziato le attività
  economiche, assunte o controllate, in tutto o in parte, con il
  prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
      in Termini Imerese, Caccamo, Palermo, altri Comuni della
  Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
  alla data odierna;
  CIACCIO Giorgio:
            2) del delitto di cui all'articolo 416-  bis, 
  commi I^ e III^, c.p., per aver preso parte attivamente ed in
  modo rilevante alle attività dell'associazione mafiosa  Cosa
  Nostra - ed in particolare dell'articolazione territoriale
  facente capo al mandamento di Caccamo ed ai suoi principali
  esponenti, tra i quali DI GESU' Lorenzo, BIONDOLILLO Giuseppe,
  GIUFFRE' Antonino e PANZECA Giuseppe, delle famiglie di S.
  Maria di Gesù e di Corso dei Mille ed ai loro principali
  esponenti, tra i quali GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo,
  D'AGATI Giovanni, e di altri uomini d'onore, tra i quali CALO'
  Giuseppe - avvalendosi quindi della forza di intimidazione del
  vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed
  omertà che ne deriva per commettere delitti; per acquisire in
  modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo
  di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di
  appalti e servizi pubblici; per realizzare profitti e vantaggi
  ingiusti per sé e gli altri;
        con le aggravanti di cui ai commi IV e VI dello stesso
  articolo per far parte di una associazione armata, avendo la
  disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle
  finalità dell'associazione, e per avere finanziato le attività
  economiche, assunte o controllate, in tutto o in parte, con il
  prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
 
                              Pag.6
 
        in Termini Imerese, Caccamo, Palermo, altri Comuni
  della Provincia ed in altre località del territorio nazionale
  sino alla data odierna;
  BAZAN GASPARE, GIUDICE GASPARE, PANZECA GIUSEPPE, CIACCIO
  GIORGIO:
        3) del delitto di cui agli artt. 110 cp, 216, 236 R.D.
  16 marzo 1942, n.267 aggravato dall'articolo 7 1.203-91 perché
  - in concorso tra loro e con GRECO Carlo e D'AGATI Giovanni,
  il primo quale amministratore della soc. F.lli BAZAN s.n.c.
  esercente l'attività di concessionaria d'auto - operavano al
  fine di occultare beni di proprietà dei fratelli BAZAN Gaspare
  e Renato, ed in particolare le quote societarie dagli stessi
  posseduti nelle società MARINA UNO srl e SALPANCORE soc. coop.
  a r.l. e GENTE DI MARE SRL, pregiudicando in tal modo i
  creditori personali e quelli insinuati nella procedura di
  concordato preventivo richiesto in data 14.03.92 per
  fronteggiare la condizione di insolvenza della predetta
  società F.lli BAZAN, ai quali non venivano ceduti in realtà
  tutti i beni personali dei BAZAN ed agevolando in tal modo gli
  interessi di Cosa Nostra all'interno delle società MARINA UNO,
  GENTE DI MARE e SALPANCORE ove vi erano quote facenti capo a
  GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo e D'AGATI Giovanni e VERNENGO
  Pietro.
      In Palermo sino al 7.05.93, data dell'omologazione del
  concordato preventivo da parte del Tribunale di Palermo.
  LO BUE DARIO:
        4) Del delitto di cui agli artt. 110 e 416-  bis
  c.p. per avere contribuito in modo rilevante alla
  realizzazione degli interessi illeciti dell'organizzazione
  mafiosa denominata cosa Nostra - pur senza essere formalmente
  inserito in questa - svolgendo in particolare il ruolo di
  prestanome di GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo, D'AGATI
  Giovanni, VERNENGO PIETRO e di altri uomini d'onore nella
  gestione di diverse società nautiche a queste riconducibili,
  tra le quali GENTE DI MARE, curandone i relativi interessi e
  detenendo i beni strumentali con le aggravanti di cui ai commi
  IV e VI dello stesso articolo per far parte di una
  associazione armata, avendo la disponibilità di armi ed
  esplosivi per il conseguimento delle finalità
  dell'associazione, e per avere finanziato le attività
  economiche, assunte o controllate, in tutto o in parte, con il
  prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
      in Palermo, altri Comuni della Provincia ed in altre
  località del territorio nazionale sino alla data odierna;
  BAZAN GASPARE, GIUDICE GASPARE e LO BUE DARIO:
        5) del delitto di cui agli artt. 81 cpv e 648 bis cp e
  7 L.203-91 perché, in concorso tra loro, con più azioni
  esecutive del medesimo disegno criminoso, si attivavano al
  fine di acquisire l'ingresso occulto di danaro proveniente dai
  traffici illeciti della famiglia mafiosa di Santa Maria di
  Gesù consentendone l'investimento nelle società BAZAN snc,
 
                              Pag.7
 
  MARINA UNO sri, GENTE DI MARE srl e SALPANCORE soc. coop a
  r.l. e facendo in modo di evitare che tale capitale illecito
  non andasse disperso nel fallimento del gruppo BAZAN,
  sostituendo le quote di partecipazione dei BAZAN con quelle
  del gruppo mafioso ed imprenditoriale facente capo a PANZECA
  Giuseppe, appartenente alla famiglia mafiosa di CACCAMO,
  mediante l'impiego di capitali illeciti di quest'ultimo,
  occultato nelle forme di debito cambiario, ed operando
  costantemente allo scopo di agevolare le attività illecite di
  Cosa Nostra finalizzate al controllo del settore della
  imprenditoria nautica.
      In Palermo fino al mese di dicembre del 1993.
  BAZAN GASPARE e GIUDICE GASPARE:
        6) del delitto di cui agli artt. 81 cpv e 110 c.p.,
  2621 c.c. aggravato dall'articolo 7 L. 203-91, perché - in
  concorso tra loro nella rispettiva qualità di amministratori
  di diritto e di fatto della società MARINA UNO, con più azioni
  esecutive del medesimo disegno criminoso - al fine di cedere
  la società MARINA UNO srl per sottrarla alle azioni di
  rivendica dei creditori personali dei fratelli BAZAN Gaspare e
  Renato - rappresentavano fraudolentemente fatti non
  rispondenti al vero sulla situazione economica della stessa
  falsificando i bilanci della società, simulando attività
  patrimoniali inesistenti e occultando debiti verso i
  fornitori, nascondendo altresi la reale partecipazione
  azionaria di quote appartenenti a Cosa Nostra ed in
  particolare a GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo e D'AGATI
  Giovanni.
      In Palermo, l'8 febbraio 1992.
  BAZAN GASPARE, PANZECA Giuseppe, GIUDICE GASPARE:
        7) 110, 216 e 223 L.Fall. aggravata dall'articolo 7
  L.203-91, perché in concorso tra loro e con LANZALACO
  Salvatore, LA CHIUSA Pietro e ZAPPIA Giuseppe, nella qualità
  di amministratori di fatto e di diritto della società MARINA
  UNO, tenevano la contabilità in modo da non consentire la
  ricostruzione delle attività patrimoniali della predetta
  società, distraendone i beni, operando sistematicamente a
  danno della stessa mediante vendite sottocosto a favore di
  società riconducibili a GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo e
  D'AGATI Giovanni, VERNENGO Pietro ed attraverso pagamenti
  dilazionati non corrispondenti agli interessi di mercato.
      In Palermo, sino al 17-18 maggio 1994, data della
  dichiarazione di fallimento della società.
  PANZECA Giuseppe, CIACCIO GIORGIO:
        8) del delitto di cui all'articolo 74 decreto del
  Presidente della Repubblica 309-90, perché si associavano tra
  loro, con BARBAGALLO Salvatore ed altre persone allo stato non
  identificate, costituendo una associazione finalizzata allo
  scopo di commettere più delitti inerenti al traffico di
  sostanze stupefacenti utilizzando i mezzi navali e la
  copertura della cooperativa SALPANCORE di Palermo.
      In Palermo fino ad oggi.
 
                              Pag.8
 
  GIUDICE GASPARE:
        9) del delitto di cui agli artt. 629, commi I^ e II^,
  c.p. e 7 L. 203-91, perché - in concorso con GRECO Carlo,
  D'AGATI Giovanni, TINNIRELLO Lorenzo, VERNENGO Pietro -
  mediante minaccia, consistita nella presentazione da parte del
  GIUDICE del primo, soggetto all'epoca latitante per delitti di
  mafia, e con la richiesta da parte di questi di consegnare 500
  milioni per ottenere la proprietà della società MARINA UNO
  srl, costringeva LANZALACO Salvatore a subire l'estromissione
  di fatto dalla sua azienda gestita dal D'AGATI Giovanni e
  dallo stesso GIUDICE, procurando a costoro un ingiusto
  profitto con grave danno del LANZALACO, che era costretto a
  subire il fallimento della società MARINA UNO a causa delle
  operazioni di riciclaggio di cui sopra.  Delitto commesso
  avvalendosi delle condizioni di cui all'articolo 416-  bis
  cp ed al fine di agevolare Cosa Nostra nella sua attività di
  controllo delle imprese locali.
      In Palermo fino al marzo.
  PANZECA Giuseppe, CIACCIO GIORGIO:
        10) del delitto di cui all'articolo 12  quinquies
  L.356-92 perché - in concorso tra loro e con BIONDOLILLO
  Giuseppe, BIONDOLILLO Francesco - attribuivano fittiziamente
  la proprietà di un immobile sito in Termini Imerese, cda
  Quarantasalme, al CIACCIO Giorgio al fine di evitare il
  provvedimento di sequestro del Tribunale di Palermo, Sezione
  Misure di prevenzione, nei confronti del BIONDOLILLO
  Francesco, commettendo il reato in oggetto al fine di
  agevolare l'affermazione dei predetti esponenti di Cosa Nostra
  e cosi consentendo di preservare il patrimonio di costoro
  sottraendolo fraudolentemente al provvedimento in materia di
  misure di prevenzione n. 297 del 26.10.92.
      In Palermo e Termini Imerese 29.10.92.
  PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO e DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
  GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
        11) del delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv, 319, 321
  c.p. perché in concorso tra loro e con BARBAGALLO Salvatore
  promettevano e poi consegnavano a SAVOJARDO Maurizio, capo
  dell'Ufficio Tecnico del comune di Caccamo, una somma di
  danaro pari a cinque milioni di lire, al fine di ottenere
  dallo stesso la liste delle imprese che dovevano ricevere
  l'invito a partecipare alla licitazione privata per le gare di
  appalto relative alla costruzione del parco urbano di Caccamo
  ed alla realizzazione di un tratto della rete fognante del
  medesimo Comune, atto contrario ai doveri di ufficio.
      In Caccamo fino al 02.09.90
  SAVOIARDO MAURIZIO:
        12) del reato pep dall'articolo 319 c.p., perché nella
  sua qualità di capo dell'UTC di Caccamo, accettava la promessa
 
                              Pag.9
 
  e poi la consegna di cinque milioni al fine di consegnare la
  lista delle imprese che dovevano essere invitate alle gare di
  cui al capo precedente, compiendo cosi un atto contrario ai
  propri doveri di ufficio.
      In Caccamo fino al 02.09.90.
  PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
  GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
        13) del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv, 353 co 2
  cp, perché, in concorso tra loro e con BARBAGALLO Salvatore,
  istigando il SAVOJARDO nella sua qualità di capo dell'UTC a
  consegnare loro le liste delle imprese che dovevano essere
  inviate alla gara di appalto per la realizzazione del tratto
  di rete fognante del comune di Caccamo, turbavano il regolare
  svolgimento della gara, consentendone l'aggiudicazione al
  raggruppamento d'impresa PANZECA-CATALANO ed agevolando in tal
  modo l'affermazione di Cosa Nostra nel settore degli appalti
  pubblici.
      In Caccamo 20 agosto 90.
  PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
  GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE, CIACCIO NICOLO', SAVOIARDO
  MAURIZIO, STANFA ROSALIA, GIUFFRE' ANTONINO E GUZZINO
  DIEGO:
        14) del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv, 353 co 2
  cp, perché, in concorso tra loro e con BARBAGALLO Salvatore,
  istigando il SAVOJARDO nella sua qualità di capo dell'UTC a
  consegnare loro le liste delle imprese che dovevano essere
  invitate alla gara di appalto del Parco Urbano di Caccamo, con
  il CIACCIO Nicolò e la STANFA Rosalia che consegnavano loro le
  buste delle imprese che dovevano partecipare alla gara di
  appalto e con il DI LUCIA Luigi, Sindaco del Comune e
  presidente di gara, che ometteva di rilevare i vizi della gara
  di appalto, turbavano il regolare svolgimento della gara di
  appalto per la costruzione del Parco Urbano di Caccamo,
  consentendone l'aggiudicazione al raggruppamento d'impresa
  PANZECA-DOLCE ed agevolando in tal modo l'affermazione di Cosa
  Nostra nel settore degli appalti pubblici.
      In Caccamo 02.09.90.
  PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
  GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE, CIACCIO NICOLO', STANFA
  ROSALIA:
        15) del delitto di cui agli artt. 110 e 314 cp, perché,
  in concorso tra loro e con il determinante contributo di
  CIACCIO NICOLO' e STANFA Rosalia, che consegnavano ai primi le
  buste delle imprese che dovevano partecipare alla gara
  d'appalto del Parco Urbano di Caccamo appena ritirate
  dall'Ufficio postale e comunque pervenute al Comune di
  Caccamo, avendone la custodia per ragione di ufficio, si
  appropriavano delle predette buste al fine di conoscere in
  anticipo l'ammontare della percentuale di ribasso contenuto
  nelle offerte presentate dalle imprese che si erano rifiutate
  di fornirne l'indicazione in precedenza, avvalendosi della
  forza di intimidazione propria di Cosa Nostra ed agevolando
 
                             Pag.10
 
  l'attività della stessa nel settore del controllo degli
  appalti pubblici.
      In Caccamo 01.09.90
  PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
  GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
        16) del delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv e 640 cpv
  c.p., perché, in concorso tra loro, nelle qualità evidenziate
  e con gli artifici sopra indicati, inducevano in errore il
  Comune di Caccamo facendogli concludere un contratto di
  appalto ad un prezzo più alto di quello ottenibile mediante
  una libera gara, provocando un danno all'ente pubblico con un
  ingiusto profitto per la ATI PANZECA-DOLCE che si aggiudicava
 
                             Pag.11
 
  la gara con un ribasso del 27,05 e per la ATI PANZECA-CATALANO
  che si aggiudicava la gara con un ribasso del 13,69 per
  cento.
      In Caccamo il 23 novembre 1990 ed il 7 febbraio 1991.
  DOLCE Giovanni Francesco e DOLCE Sebastiano:
        16-  bis)  del delitto di cui al 416-  bis, 
  commi I^ e III^, c.p., per aver preso parte attivamente ed in
  modo rilevante alle attività dell'associazione mafiosa  Cosa
  Nostra - ed in particolare dell'articolazione territoriale
  facente capo al mandamento di Caccamo ed ai suoi principali
  esponenti, tra i quali DI GESU' Lorenzo, GAETA Giuseppe,
  BIONDOLILLO Giuseppe, GIUFFRE' Antonino e PANZECA Giuseppe, e
  della famiglie di Bagheria ed al suo principale esponente
  Leonardo GRECO - avvalendosi quindi della forza di
  intimidazione del vincolo associativo e della condizione di
  assoggettamento ed omertà che ne deriva per commettere diversi
  e molteplici delitti di corruzione, turbativa d'asta,
  peculato, illecita concorrenza con minaccia, ed altro, al fine
  di acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o,
  comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni,
  di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici; per
  realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e gli altri;
        con le aggravanti di cui ai commi IV e VI dello stesso
  articolo per far parte di una associazione armata, avendo la
  disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle
  finalità dell'associazione, e per avere finanziato le attività
  economiche, assunte o controllate, in tutto o in parte, con il
  prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
      in Termini Imerese, Caccamo, Palermo, altri Comuni della
  Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
  alla data odierna.
  PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
  GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
        17) del delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv, e
  640-  bis  cp; perchè in concorso tra loro, nelle qualità
  evidenziate, acquisivano l'appalto per la realizzazione di un
  tratto della rete fognante e per costruzione del Parco Urbano
  di Caccamo, finanziati dalla Regione Siciliana Ass.  TT.AA.,
  utilizzando gli artifici di cui sopra e non consentendo una
  libera aggiudicazione con un maggior ribasso, finendo in tal
  modo per assorbire illecitamente una quota maggiore del
  finanziamento erogato.
      In Caccamo il 23 novembre 1990 ed il 7 febbraio 1991.
  PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
  GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE, GIUFFRE' ANTONINO e GUZZINO
  DIEGO:
        18) del reato di cui agli artt. 110, 513 co 1 e
  2-  bis  cp, perché, ricorrendo all'appoggio di  Cosa
  Nostra, riuscivano ad ottenere l'astensione di diverse
  imprese, ovvero che le stesse rilasciassero il cd.
  passi,  ed in particolare le imprese facenti capo al
  BRUNO e al MINGOIA, operando attraverso il GIUFFRE' ed il
  GUZZINO, esponenti di primo piano dell'associazione criminale
  denominata Cosa Nostra ed in particolare del mandamento di
  Caccamo, impedendo in tal modo il normale attuarsi della
  libera concorrenza imprenditoriale nel settore dei pubblici
  appalti finanziati dallo Stato, mediante l'esternazione della
  forza dell'associazione criminale denominata Cosa Nostra ed
  agevolando l'attivita' della stessa nel controllo degli
  appalti pubblici.
      In Caccamo 02.09.90.
  MANDALA' Antonino:
        19) del delitto di cui all'articolo 416-  bis, 
  commi I^ e III^, c.p., per aver preso parte attivamente ed in
  modo rilevante alle attività dell'associazione mafiosa  Cosa
  Nostra - ed in particolare dell'articolazione territoriale
  facente capo ai mandamenti di Villabate e Caccamo ed ai suoi
  principali esponenti, tra i quali GIUFFRE' Antonino, PANZECA
  Giuseppe e GIUDICE Gaspare, della famiglie di S. Maria di Gesù
  e di Corso dei Mille ed ai loro principali esponenti, tra i
  quali GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo, D'AGATI Giovanni nonché
  della famiglia di S. Giuseppe Jato ed ai suoi principali
  esponenti, tra i quali MANISCALCO Giuseppe, VITALE Simone,
  CAMARDA Michelangelo ed altri associati quali INFANTINO
  Valerio - avvalendosi quindi della forza di intimidazione del
  vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed
  omertà che ne deriva per commettere delitti; per acquisire in
  modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo
  di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di
  appalti e servizi pubblici; per realizzare profitti e vantaggi
  ingiusti per sé e gli altri, mediante le seguenti principali
  condotte:
          fornendo a BARATTA Filippo e a LA CHIUSA Pietro,
  amministratori delle società CO.BE.TA. e C.M.C. aderenti al
  "Consorzio Emiliano Romagnolo fra le Cooperative di Produzione
  e Lavoro", assegnatario dell'appalto per la realzzazione di un
  edificio scolastico a Bagheria, la "necessaria autorizzazione"
  (c.d. "messa a posto") delle famiglie di Bagheria per
  riprendere nel 1995 i lavori relativi a questo appalto;
          svolgendo il ruolo di intermediario tra MANISCALCO
  Giuseppe e VITALE Simone, interessati alla c.d "messa a posto"
  dell'impresa CAIOLA, aggiudicataria dei lavori di risanamento
  della discarica rsu in contrada Torretta, appaltati dal Nuovo
 
                             Pag.12
 
  Consorzio Intercomunale per lo Smaltimento RSU con sede in
  Bagheria, e tra le i referenti mafiosi di Bagheria, accettando
  la consegna di un c.d. bigliettino contenente un messaggio
  avente ad oggetto la disponibilità della predetta impresa a
  pagare una somma a titolo di pizzo pur di potere eseguire
  questi lavori senza dover subire dei danneggiamenti;
          svolgendo il ruolo di intermediario tra gli esponenti
  della famiglia di S. Giuseppe Jato, ed in particolare CAMARDA
  Michelangelo ed il titolare della società S.G. COSTRUZIONI,
  SCHILLACI Francesco, il quale aveva ottenuto l'aggiudicazione
  di un appalto bandito dal Comune di Piana degli Albanesi, per
  la ristrutturazione della vecchia sede municipale da adibire a
  biblioteca comunale, e facendo sapere al CAMARDA che lo
  SCHILLACI era disposto a mettersi a posto pur di potere
  realizzare quei lavori senza dover subire alcun danno od
  ostacolo di sorta;
        con le aggravanti di cui ai commi IV e VI dello stesso
  articolo per far parte di una associazione armata, avendo la
  disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle
  finalità dell'associazione, e per avere finanziato le attività
  economiche; assunte o controllate, in tuffo o in parte, con il
  prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
      in Palermo, Villabate, Bagheria e altri Comuni della
  Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
  alla data odierna;
        20) per il reato di cui agli artt. 110, 353, commi 1^ e
  2^, con l'aggravante dell'articolo7 decreto-legge 152/1991 per
  avere contribuito ad agevolare le condotte di VITALE Simone,
  CAMARDA Michelangelo ed INFANTINO Valerio finalizzate a
  turbare, con minacce e mezzi fraudolenti, la gara bandita in
  data 21 giugno 1997 dello IACP di Catania, per un importo di
  circa 50 miliardi, relativa alla costruzione del complesso
  adibito ad edilizia residenziale universitaria sito in
  contrada Tavoliere di Catania, inducendo, in particolare, i
  titolari dell'impresa CGP a presentare una offerta di appoggio
  in modo da consentire l'aggiudicazione dell'appalto
  all'impresa COGECO di RANDAZZO Vincenzo:
      in Palermo, in data anteriore e successiva al 21 giugno
  1997 e sino al momento dell'arresto di INFANTINO Valerio
  avvenuto in seguito all'esecuzione dell'ordinanza di custodia
  cautelare del 16 dicembre 1997.
  CATANESE Salvatore, PARRINELLA Cosimo, LO BELLO Leonardo:
        21) del delitto di cui all'articolo 416-  bis, 
  commi I^ e III^, c.p., per aver fatto parte dell'associazione
  mafiosa  Cosa  Nostra, ed in particolare
  dell'articolazione territoriale facente capo al mandamento di
  Caccamo e agli uomini d'onore DI GESU' Lorenzo, INTILE
  Francesco, GAETA Giuseppe, GIUFFRE' Antonino, PANZECA Giuseppe
  ed altri, avvalendosi quindi della forza di intimidazione del
  vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed
 
                             Pag.13
 
  omertà che ne deriva per commettere delitti; per acquisire in
  modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo
  di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di
  appalti e servizi pubblici; per realizzare profitti e vantaggi
  ingiusti per sé e gli altri;
        per tutti, con le aggravanti di cui ai commi IV e VI
  dello stesso articolo per far parte di una associazione
  armata, avendo la disponibilità di armi ed esplosivi per il
  conseguimento delle finalità dell'associazione, e per avere
  finanziato le attività economiche, assunte o controllate, in
  tutto o in parte, con il prezzo, il prodotto o il profitto di
  delitti;
      in Termini Imerese, Trabia, Palermo, altri Comuni della
  Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
  alla data odierna;
                           RILEVATO
      che, su richiesta di questo Ufficio, il G.I.P. presso il
  Tribunale di Palermo, in data 8 giugno 1998, ha emesso una
  ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti
  dell'on.  GIUDICE Gaspare, attuale membro della Camera dei
  Deputati, riconoscendo la sussistenza dei gravi indizi di
  colpevolezza per i reati in premessa analiticamente
  specificati nonché la ricorrenza delle esigenze cautelari
  previste dall' articolo 275 c.p.p.;
                         CONSIDERATO
      che, a norma dell'articolo 68 della Costituzione, alla
  stregua dell'interpretazione recentemente fornita dal
  Parlamento, deve ritenersi che - pur in assenza di una
  normativa attuativa specifica - l'autorizzazione a procedere
  concerna l'eseguibilità del provvedimento limitativo della
  libertà personale già emesso dal competente G.I.P., l'unico
  organo legittimato a valutare la sussistenza dei presupposti
  previsti dagli artt.273 e 274 c.p.p.(1) anche nei confronti di
  un parlamentare;
        che, pertanto, si rende necessario trasmettere copia
  dei relativi atti al Presidente della Camera per il seguito di
  competenza ai sensi dell'articolo68 della Costituzione, in
  ordine alla autorizzazione ad eseguire nei confronti dell'on.
  Gaspare GIUDICE la misura della custodia cautelare in carcere
  disposta dal competente G.I.P. con ordinanza dell'.... giugno
  1998;
      visti gli artt. 68 della Costituzione e 343 e 344
  c.p.p.
      (1) Si veda, in particolare, il verbale della seduta
  della Camera dei Deputati del 18 settembre 1997, trasmesso
  dalla Procura della Repubblica di Milano, nonché gli altri
  documenti parlamentari acquisiti con provvedimento del 12
  marzo 1998.
 
                             Pag.14
 
                           P. Q. M.
                            CHIEDE
      al Sig.  Presidente della Camera dei Deputati
  l'autorizzazione all'esecuzione della misura della custodia
  cautelare nei confronti dell'on.  Gaspare GIUDICE, disposta dal
  competente G.I.P. con ordinanza dell'8 giugno 1998;
      Palermo 8 giugno 1998.
                   I sostituti procuratori:
                        Gaspare Sturzo
                       C. Gaetano Paci
             I procuratori della Repubblica agg.
                         Luigi Croce
                        Guido Lo Forte
 
                             Pag.15
 
                   PROCURA DELLA REPUBBLICA
                PRESSO IL TRIBUNALE DI PALERMO
               DIREZIONE DISTRETTUALE ANTIMAFIA
  Procedimento penale n. 1232/96
  RICHIESTA DI AUTORIZZAZIONE ALL'UTILIZZAZIONE DI
  INTERCETTAZIONI DI CONVERSAZIONI TELEFONICHE ED
  ALL'ACQUISIZIONE ED ALL'UTILIZZAZIONE DI TABULATI RELATIVI AL
           TRAFFICO TELEFONICO DI UTENZE CELLULARI
         Al Sig.  PRESIDENTE della CAMERA dei DEPUTATI
                                                          ROMA
                    IL PUBBLICO MINISTERO
      Letti gli atti del procedimento penale n. 1232/96 a
  carico dei seguenti indagati:
         1) PANZECA Giuseppe, di Gioacchino e di Di Gesù Rosa
  Maria, nato a Caccamo (Pa) il 18.11.1956, residente a Palermo
  in via Isidoro La Lumia n.11, coniugato;
         2) GIUDICE Gaspare, di Giovanni e di DI MARTINO Maria
  Teresa, nato a Canicattì il 04.03.1943, residente a Palermo
  via Croce Rossa 28;
         3) CIACCIO Giorgio, nato a Caccamo il 30 gennaio 1950,
  residente in Palermo via Del Fante n.56a;
        4) BAZAN Gaspare, nato a Palermo, il 28.06.1947 ed ivi
  domiciliato via A. De Gasperi n. 181;
        5) LO BUE Dario, nato a Palermo il 02.07.1951;
         6) MANDALA' Antonino, di Nicolò e di GANDOLFO Angela,
  nato a Villabate il 25.03.1939, ivi residente Via E. Amari
  n.4, P.VI.
        7) DOLCE Giovanni Francesco, nato a Polizzi Generosa il
  08.03.1947, residente in Palermo via G. Ventura 5;
         8) DOLCE Sebastiano, nato a Polizzi Generosa il
  24.11.1955, residente in Palermo via G. Ventura 15.
         9) SAVOJARDO Maurizio nato a Caccamo il 27.05.1953,
  ivi residente corso Umberto I n. 49;
        10) CIACCIO Nicolò, nato a Caccamo il 30.11.1943, ivi
  residente via Roma 135;
        11) STANFA Rosalia, nata a Caccamo il 29 luglio 1952,
  ivi residente in via Liccio, n.3;
 
                             Pag.16
 
        12) BATTAGLIA Salvatore, nato a Caccamo (PA) il
  19.04.1956;
        13) CATANESE Salvatore, di Vincenzo e di ALONGI
  Domenica, nato a Caccamo il 15.06.1936, ivi residente Via Del
  Carmine n.44;
        14) LO BELLO Leonardo, fu Agostino e fu LO PRESTI
  Giuseppa, nato a Termini Imerese il 29.05.1935, ivi residente
  in Via Milano n.4;
        15) PARRINELLA Cosimo, fu Salvatore e fu OLIVIERI
  Grazia, nato a Trabia il 05.09.1945, ivi residente in Corso La
  Masa n. 86;
        16) PRIOLO Antonino, nato a Ciminna il 23.4.56,
  residente a Palermo in via Crispi n. 258.
        17) GIUFFRE' Antonino, nato a Caccamo il 21 luglio
  1945, ivi residente in via Liccio n.3, attualmente
  latitante;
        18 GUZZINO Diego, nato a Caccamo l'11 febbraio 1948,
  ivi residente in via Grillo, n.2;
                           INDAGATI
  GIUDICE Gaspare:
        1) del delitto di cui agli artt. 81 cpv, 416, comma 2^,
  e 416-  bis,  commi I^ e III^, c.p., per aver preso parte
  attivamente ed in modo rilevante alle attività
  dell'associazione mafiosa  Cosa Nostra-  ed in
  particolare dell'articolazione territoriale facente capo al
  mandamento di Caccamo ed ai suoi principali esponenti, tra i
  quali DI GESU' Lorenzo, GAETA Giuseppe, BIONDOLILLO Giuseppe,
  GIUFFRE' Antonino e PANZECA Giuseppe, delle famiglie di S.
  Maria di Gesù e di Corso dei Mille ed ai loro principali
  esponenti, tra i quali GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo,
  D'AGATI Giovanni, VERNENGO PIETRO e di altri uomini d'onore,
  tra i quali CALO' Giuseppe - avvalendosi quindi della forza di
  intimidazione del vincolo associativo e della condizione di
  assoggettamento ed omertà che ne deriva per commettere
  delitti; per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione
  o, comunque, il controllo di attività economiche, di
  concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici;
  per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e gli
  altri, mediante le seguenti principali condotte:
          contribuendo in modo determinante ad aiutare diversi
  esponenti mafiosi del mandamento di Caccamo e di altre
  articolazioni territoriali di Cosa Nostra - tra i quali
  Lorenzo DI GESU', Pippo CALO', i fratelli Giuseppe ed Alberto
  GAETA - a realizzare operazioni bancarie presso la filiale
  della Sicilcassa di Termini Imerese Alta, ove egli ha prestato
  servizio in qualità di direttore dal 3 marzo 1980 sino al 3
  ottobre 1985, finalizzate al riciclaggio ed al reimpiego del
  denaro proveniente dalle loro attività illecite;
          svolgendo il ruolo di intermediario tra il "gruppo
  PANZECA" ed il gruppo mafioso di Carlo GRECO, Lorenzo
  TINNIRELLO, Giovanni D'AGATI, VERNENGO PIETRO ed altri al fine
  di consentire al primo di inserirsi nel settore delle società
 
                             Pag.17
 
  nautiche nel quale il secondo era già integrato ed a questo di
  disporre dei capitali e delle risorse economiche provenienti
  dal primo gruppo per acquisire una posizione di egemonia;
          concorrendo alla gestione delle società nautiche
  MARINA UNO, GENTE DI MARE ed IL SALPANCORE in modo da
  preservare l'integrità degli interessi del gruppo mafioso di
  GRECO Carlo, impedendo che questo venisse coinvolto nella
  crisi economica che aveva travolto BAZAN Gaspare e facendo
  affluire in queste società i capitali del "gruppo PANZECA";
          strumentalizzando i propri compiti di funzionario
  della SICILCASSA al fine di avvantaggiare il "gruppo PANZECA",
  notevolmente esposto verso il predetto Istituto, mediante una
  serie di condotte poste in palese violazione della corretta
  prassi bancaria.
      Dal 1980 sino al 13 settembre 1982, ai sensi
  dell'articolo 416 c.p., e con le aggravanti previste dai commi
  2^, 4^ e 5^; dal 14 settembre 1982 sino ad oggi, ai sensi
  dell'articolo 416-  bis  c.p. con le aggravanti di cui ai
  commi IV e VI dello stesso articolo per far parte di una
  associazione armata, avendo la disponibilità di armi ed
  esplosivi per il conseguimento delle finalità
  dell'associazione, e per avere finanziato le attività
  economiche, assunte o controllate, in tuffo o in parte, con il
  prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
      in Termini Imerese, Caccamo, Palermo, altri Comuni della
  Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
  alla data odierna.
  CIACCIO Giorgio:
        2) del delitto di cui all'articolo 416-  bis,  commi
  I^ e III^, c.p., per aver preso parte attivamente ed in modo
  rilevante alle attività dell'associazione mafiosa  Cosa
  Nostra - ed in particolare dell'articolazione territoriale
  facente capo al mandamento di Caccamo ed ai suoi principali
  esponenti, tra i quali DI GESU' Lorenzo, BIONDOLILLO Giuseppe,
  GIUFFRE' Antonino e PANZECA Giuseppe, delle famiglie di S.
  Maria di Gesù e di Corso dei Mille ed ai loro principali
  esponenti, tra i quali GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo,
  D'AGATI Giovanni, e di altri uomini d'onore, tra i quali CALO'
  Giuseppe - avvalendosi quindi della forza di intimidazione del
  vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed
  omertà che ne deriva per commettere delitti; per acquisire in
  modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo
  di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di
  appalti e servizi pubblici; per realizzare profitti e vantaggi
  ingiusti per se e gli altri;
        con le aggravanti di cui ai commi IV e VI dello stesso
  articolo per far parte di una associazione armata, avendo la
  disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle
  finalità dell'associazione, e per avere finanziato le attività
  economiche, assunte o controllate, in tutto o in parte, con il
  prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
      in Termini Imerese, Caccamo, Palermo, altri Comuni della
  Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
  alla data odierna;
 
                             Pag.18
 
  BAZAN GASPARE, GIUDICE GASPARE, PANZECA Giuseppe, CIACCIO
  GIORGIO:
        3) del delitto di cui agli artt. 110 cp,, 216, 236 R.D.
  16 marzo 1942, n.267 aggravato dall'articolo 7 1.203-91 perché
  - in concorso tra loro e con GRECO Carlo e D'AGATI Giovanni,
  il primo quale amministratore della soc. F.lli BAZAN s.n.c.
  esercente l'attività di concessionaria d'auto - operavano al
  fine di occultare beni di proprietà dei fratelli BAZAN Gaspare
  e Renato, ed in particolare le quote societarie dagli stessi
  posseduti nelle società MARINA UNO srl e SALPANCORE soc. coop.
  a r.l. e GENTE DI MARE SRL pregiudicando in tal modo i
  creditori personali e quelli insinuati nella procedura di
  concordato preventivo richiesto in data 14.03.92 per
  fronteggiare la condizione di insolvenza della predetta
  società F.lli BAZAN, ai quali non venivano ceduti in realtà
  tutti i beni personali dei BAZAN ed agevolando in tal modo gli
  interessi di Cosa Nostra all'interno delle società MARINA UNO,
  Gente Di Mare e SALPANCORE ove vi erano quote facenti capo a
  GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo e D'AGATI Giovanni e VERNENGO
  Pietro.
      In Palermo sino al 7.05.93, data dell'omologazione del
  concordato preventivo da parte del Tribunale di Palermo.
  LO BUE DARIO:
        4) Del delitto di cui agli artt. 110 e 416-  bis
  c.p. per avere contribuito in modo rilevante alla
  realizzazione degli interessi illeciti dell'organizzazione
  mafiosa denominata cosa Nostra - pur senza essere formalmente
  inserito in questa - svolgendo in particolare il ruolo di
  prestanome di GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo, D'AGATI
  Giovanni, VERNENGO PIETRO e di altri uomini d'onore nella
  gestione di diverse società nautiche a queste riconducibili,
  tra le quali GENTE DI MARE, curandone i relativi interessi e
  detenendo i beni strumentali;
        con le aggravanti di cui ai commi IV e VI dello stesso
  articolo per far parte di una associazione armata, avendo la
  disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle
  finalità dell' associazione, e per avere finanziato le
  attività economiche, assunte o controllate, in tutto o in
  parte, con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
      in, Palermo, altri Comuni della Provincia ed in altre
  località del territorio nazionale sino alla data odierna.
  BAZAN GASPARE, GIUDICE GASPARE e LO BUE DARIO:
        5) del delitto di cui agli artt. 81 cpv e 648-  bis
  cp e 7 L.203-91 perché, in concorso tra loro, con più
  azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, si attivavano
  al fine di acquisire l'ingresso occulto di danaro proveniente
  dai traffici illeciti della famiglia mafiosa di Santa Maria di
  Gesù consentendone l'investimento nelle società BAZAN snc,
  MARINA UNO srl, GENTE DI MARE sri e SALPANCORE soc. coop a
  r.l. e facendo in modo di evitare che tale capitale illecito
  non andasse disperso nel fallimento del gruppo BAZAN,
 
                             Pag.19
 
  sostituendo le quote di partecipazione dei BAZAN con quelle
  del gruppo mafioso ed imprenditoriale facente capo a PANZECA
  Giuseppe, appartenente alla famiglia mafiosa di CACCAMO,
  mediante l'impiego di capitali illeciti di quest'ultimo,
  occultato nelle forme di debito cambiario, ed operando
  costantemente allo scopo di agevolare le attività illecite di
  Cosa Nostra finalizzate al controllo del settore della
  imprenditoria nautica.
      In Palermo fino al mese di dicembre del 1993.
  BAZAN GASPARE e GIUDICE GASPARE:
        6) del delitto di cui agli artt. 81 cpv e 110 c.p.,
  2621 c.c. aggravato dall'art 7 L. 203-91, perché - in concorso
  tra loro nella rispettiva qualità di amministratori di diritto
  e di fatto della società MARINA UNO, con più azioni esecutive
  del medesimo disegno criminoso - al fine di cedere la società
  MARINA UNO srl per sottrarla alle azioni di rivendica dei
  creditori personali dei fratelli BAZAN Gaspare e Renato -
  rappresentavano fraudolentemente fatti non rispondenti al vero
  sulla situazione economica della stessa, falsificando i
  bilanci della società, simulando attività patrimoniali
  inesistenti e occultando debiti verso i fornitori, nascondendo
  altresì la reale partecipazione azionaria di quote
  appartenenti a Cosa Nostra ed in particolare a GRECO Carlo,
  TINNIRELLO Lorenzo e D'AGATI Giovanni.
      In Palermo, l'8 febbraio 1992.
  BAZAN GASPARE, PANZECA Giuseppe, GIUDICE GASPARE:
        7) 110, 216 e 223 L.Fall. aggravata dall'articolo 7
  L.203-91, perché in concorso tra loro e con LANZALACO
  Salvatore, LA CHIUSA Pietro e ZAPPIA Giuseppe, nella qualità
  di amministratori di fatto e di diritto della società MARINA
  UNO, tenevano la contabilità in modo da non consentire la
  ricostruzione delle attività patrimoniali della predetta
  società, distraendone i beni, operando sistematicamente a
  danno della stessa mediante vendite sottocosto a favore di
  società riconducibili a GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo e
  D'AGATI Giovanni, VERNENGO Pietro ed attraverso pagamenti
  dilazionati non corrispondenti agli interessi di mercato.
      In Palermo, sino al 17-18 maggio 1994, data della
  dichiarazione di fallimento della società.
  PANZECA Giuseppe, CIACCIO GIORGIO:
        8) del delitto di cui all'articolo 74 decreto del
  Presidente della Repubblica 309-90, perché si associavano tra
  loro, con BARBAGALLO Salvatore ed altre persone allo stato non
  identificate, costituendo una associazione finalizzata allo
  scopo di commettere più delitti inerenti al traffico di
  sostanze stupefacenti utilizzando i mezzi navali e la
  copertura della cooperativa SALPANCORE di Palermo.
      In Palermo fino ad oggi.
 
                             Pag.20
 
  GIUDICE GASPARE:
        9) del delitto di cui agli artt. 629, commi I^ e II^,
  c.p. e 7 L. 203-91, perché - in concorso con GRECO Carlo,
  D'AGATI Giovanni, TINNIRELLO Lorenzo, VERNENGO Pietro -
  mediante minaccia, consistita nella presentazione da parte del
  GIUDICE del primo, soggetto all'epoca latitante per delitti di
  mafia, e con la richiesta da parte di questi di consegnare 500
  milioni per ottenere la proprietà della società MARINA UNO
  srl, costringeva LANZALACO Salvatore a subire l'estromissione
  di fatto dalla sua azienda gestita dal D'AGATI Giovanni e
  dallo stesso GIUDICE, procurando a costoro un ingiusto
  profitto con grave danno del LANZALACO, che era costretto a
  subire il fallimento della società MARINA UNO a causa delle
  operazioni di riciclaggio di cui sopra.  Delitto commesso
  avvalendosi delle condizioni di cui all'articolo416-  bis
  cp ed al fine di agevolare Cosa Nostra nella sua attività di
  controllo delle imprese locali.
      In Palermo fino al marzo.
  PANZECA Giuseppe, CIACCIO GIORGIO:
        10) del delitto di cui all'articolo 12-  quinquies
  L.356-92 perché - in concorso tra loro e con BIONDOLILLO
  Giuseppe, BIONDOLILLO Francesco - attribuivano fittiziamente
  la proprietà di un immobile sito in Termini Imerese, cda
  Quarantasalme, al CIACCIO Giorgio al fine di evitare il
  provvedimento di sequestro del Tribunale di Palermo, Sezione
  Misure di prevenzione, nei confronti del BIONDOLILLO
  Francesco, commettendo il reato in oggetto al fine di
  agevolare l'affermazione dei predetti esponenti di Cosa Nostra
  e cosi consentendo di preservare il patrimonio di costoro
  sottraendolo fraudolentemente al provvedimento in materia di
  misure di prevenzione n. 297 del 26.10.92.
      In Palermo e Termini Imerese 29.10.92.
  PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
  GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
        11) del delitto di cui agli artt.110, 81 cpv, 319, 321
  c.p. perché in concorso tra loro e con BARBAGALLO Salvatore
  promettevano e poi consegnavano a SAVOJARDO Maurizio, capo
  dell'Ufficio Tecnico del comune di Caccamo, una somma di
  danaro pari a cinque milioni di lire, al fine di ottenere
  dallo stesso la liste delle imprese che dovevano ricevere
  l'invito a partecipare alla licitazione privata per le gare di
  appalto relative alla costruzione del parco urbano di Caccamo
  ed alla realizzazione di un tratto della rete fognante del
  medesimo Comune, atto contrario ai doveri di ufficio.
      In Caccamo fino al 02.09.90.
  SAVOIARDO MAURIZIO:
        12) del reato pep dall'articolo 319 c.p., perché nella
  sua qualità di capo dell'UTC di Caccamo, accettava la promessa
 
                             Pag.21
 
  e poi la consegna di cinque milioni al fine di consegnare la
  lista delle imprese che dovevano essere invitate alle gare di
  cui al capo precedente, compiendo cosi un atto contrario ai
  propri doveri di ufficio.
      In Caccamo fino al 02.09.90.
  PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
  GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
        13) del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv., 353 co. 2
  cp., perché, in concorso tra loro e con BARBAGALLO Salvatore,
  istigando il SAVOJARDO nella sua qualità di capo dell'UTC a
  consegnare loro le liste delle imprese che dovevano essere
  invitate alla gara di appalto per la realizzazione del tratto
  di rete fognante del comune di Caccamo , turbavano il regolare
  svolgimento della gara, consentendone l'aggiudicazione al
  raggruppamento d'impresa PANZECA-CATALANO ed agevolando in tal
  modo l'affermazione di Cosa Nostra nel settore degli appalti
  pubblici.
      In Caccamo 20 agosto 90.
  PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
  GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE, CIACCIO NICOLO', SAVOIARDO
  MAURIZIO.  STANFA ROSALIA, GIUFFRE' ANTONINO E GUZZINO
  DIEGO:
        14) del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv., 353 co. 2
  cp., perché, in concorso tra loro e con BARBAGALLO Salvatore,
  istigando il SAVOJARDO nella sua qualità di capo dell'UTC a
  consegnare loro le liste delle imprese che dovevano essere
  invitate alla gara di appalto del Parco Urbano di Caccamo, con
  il CIACCIO Nicolò e la STANFA Rosalia che consegnavano loro le
  buste delle imprese che dovevano partecipare alla gara di
  appalto e con il DI LUCIA Luigi, Sindaco del Comune e
  presidente di gara, che ometteva di rilevare i vizi della gara
  di appalto, turbavano il regolare svolgimento della gara di
  appalto per la costruzione del Parco Urbano di Caccamo,
  consentendone l'aggiudicazione al raggruppamento d'impresa
  PANZECA-DOLCE ed agevolando in tal modo l'affermazione di Cosa
  Nostra nel settore degli appalti pubblici.
      In Caccamo 02.09.90
  PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
  GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE, CIACCIO NICOLO', STANFA
  ROSALIA:
        15) del delitto di cui agli artt. 110 e 314 cp.,
  perché, in concorso tra loro e con il determinante contributo
  di CIACCIO NICOLO' e STANFA Rosalia, che consegnavano ai primi
  le buste delle imprese che dovevano partecipare alla gara
  d'appalto del Parco Urbano di Caccamo appena ritirate
  dall'Ufficio postale e comunque pervenute al Comune di
  Caccamo, avendone la custodia per ragione di ufficio, si
  appropriavano delle predette buste al fine di conoscere in
  anticipo l'ammontare della percentuale di ribasso contenuto
  nelle offerte presentate dalle imprese che si erano rifiutate
  di fornirne l'indicazione in precedenza, avvalendosi della
 
                             Pag.22
 
  forza di intimidazione propria di Cosa Nostra ed agevolando
  l'attività della stessa nel settore del controllo degli
  appalti pubblici.
      In Caccamo 0l.09.90
  PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
  GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
        16) del delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv. e 640
  cpv. c.p., perché, in concorso tra loro, nelle qualità
  evidenziate e con gli artifici sopra indicati, inducevano in
  errore il Comune di Caccamo facendogli concludere un contratto
  di appalto ad un prezzo più alto di quello ottenibile mediante
  una libera gara, provocando un danno all'ente pubblico con un
  ingiusto profitto per la Ati PANZECA-DOLCE che si aggiudicava
  la gara con un ribasso del 27,05 e per la ATI PANZECA-CATALANO
  che si aggiudicava la gara con un ribasso del 13,69 .
      In Caccamo il 23 novembre 1990 ed il 7 febbraio 1991.
  DOLCE Giovanni Francesco e DOLCE Sebastiano.
        16  bis)  del delitto di cui all'416  bis, 
  commi I e III, c.p., per aver preso parte attivamente ed in
  modo rilevante alle attività dell'associazione mafiosa  Cosa
  Nostra - ed in particolare dell'articolazione territoriale
  facente capo al  mandamento  di Caccamo ed ai suoi
  principali esponenti, tra i quali DI GESU' Lorenzo, GAETA
  Giuseppe, BIONDOLILLO Giuseppe, GIUFFRE' Antonino e PANZECA
  Giuseppe, e della famiglie di Bagheria ed al suo principale
  esponente Leonardo GRECO - avvalendosi quindi della forza di
  intimidazione del vincolo associativo e della condizione di
  assoggettamento ed omertà che ne deriva per commettere diversi
  e molteplici delitti di corruzione, turbativa d'asta,
  peculato, illecita concorrenza con minaccia, ed altro, al fine
  di acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o,
  comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni,
  di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici; per
  realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e gli altri;
        con le aggravanti di cui ai commi IV e VI dello stesso
  articolo per far parte di una associazione armata, avendo la
  disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle
  finalità dell'associazione, e per avere finanziato le attività
  economiche, assunte o controllate, in tutto o in parte, con il
  prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
        in Termini Imerese, Caccamo, Palermo, altri Comuni
  della Provincia ed in altre località del territorio nazionale
  sino alla data odierna;
  PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
  GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
        17) del delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv., e 640
  bis  cp.; perché in concorso tra loro , nelle qualità
  evidenziate, acquisivano l'appalto per la realizzazione di un
  tratto della rete fognante e per costruzione del Parco Urbano
  di Caccamo , finanziati dalla Regione Siciliana Ass.  TT.AA.,
  utilizzando gli artifici di cui sopra e non consentendo una
 
                             Pag.23
 
  libera aggiudicazione con un maggior ribasso, finendo in tal
  modo per assorbire illecitamente una quota maggiore del
  finanziamento erogato.
      In Caccamo il 23 novembre 1990 ed il 7 febbraio 1991.
  PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
  GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE e GIUFFRE' ANTONINO e GUZZINO
  DIEGO:
        18) del reato di cui agli artt. 110, 513 co. 1 e 2
  bis  cp., perché, ricorrendo all'appoggio di Cosa Nostra,
  riuscivano ad ottenere l'astensione di diverse imprese, ovvero
  che le stesse rilasciassero il cd. passi, ed in particolare le
  imprese facenti capo al BRUNO e al MINGOIA, operando
  attraverso il GIUFFRE' ed il GUZZINO, esponenti di primo piano
  dell'associazione criminale denominata Cosa Nostra ed in
  particolare del mandamento di Caccamo, impedendo in tal modo
  il normale attuarsi della libera concorrenza imprenditoriale
  nel settore dei pubblici appalti finanziati dallo Stato,
  mediante l'esternazione della forza dell'associazione
  criminale denominata Cosa Nostra ed agevolando l'attività
  della stessa nel controllo degli appalti pubblici.
      In Caccamo 02.09.90.
  MANDALA' Antonino:
        19) del delitto di cui all'articolo 416  bis, 
  commi I e III, c.p., per aver preso parte attivamente ed in
  modo rilevante alle attività dell'associazione mafiosa Cosa
  Nostra - ed in particolare dell'articolazione territoriale
  facente capo ai mandamenti di Villabate e Caccamo ed ai suoi
  principali esponenti, tra i quali, GIUFFRE' Antonino, PANZECA
  Giuseppe e GIUDICE Gaspare, della famiglie di 5.  Maria di Gesù
  e di Corso dei Mille ed ai loro principali esponenti, tra i
  quali GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo D'AGATI Giovanni nonché
  della famiglia di S. Giuseppe Jato ed ai suoi principali
  esponenti, tra i quali MANISCALCO Giuseppe, VITALE Simone,
  CAMARDA Michelangelo ed altri associati quali INFANTINO
  Valerio - avvalendosi quindi della forza di intimidazione del
  vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed
  omertà che ne deriva per commettere delitti; per acquisire in
  modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo
  di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di
  appalti e servizi pubblici; per realizzare profitti e vantaggi
  ingiusti per sé e gli altri, mediante le seguenti principali
  condotte:
          fornendo a BARATTA Filippo e a LA CHIUSA Pietro,
  amministratori delle società CO.BE.TA. e C.M.C. aderenti al
  "Consorzio Emiliano Romagnolo fra le Cooperative di Produzione
  e Lavoro", assegnatario dell'appalto per la realizzazione di
  un edificio scolastico a Bagheria, la "necessaria
  autorizzazione" (c.d. "messa a posto") delle famiglie di
  Bagheria per riprendere nel 1995 i lavori relativi a questo
  appalto;
          svolgendo il ruolo di intermediario tra MANISCALCO
  Giuseppe e VITALE Simone, interessati alla c.d "messa a posto"
  dell'impresa CAIOLA, aggiudicataria dei lavori di risanamento
  della discarica rsu in contrada Torretta, appaltati dal Nuovo
 
                             Pag.24
 
  Consorzio Intercomunale per lo Smaltimento RSU con sede in
  Bagheria, e tra le i referenti mafiosi di Bagheria, accettando
  la consegna di un c.d. bigliettino contenente un messaggio
  avente ad oggetto la disponibilità della predetta impresa a
  pagare una somma a titolo di pizzo pur di potere eseguire
  questi lavori senza dover subire dei danneggiamenti;
          svolgendo il ruolo di intermediario tra gli esponenti
  della famiglia di 5.  Giuseppe Jato, ed in particolare CAMARDA
  Michelangelo ed il titolare della società S.G. COSTRUZIONI,
  SCHILLACI Francesco, il quale aveva ottenuto l'aggiudicazione
  di un appalto bandito dal Comune di Piana degli Albanesi, per
  la ristrutturazione della vecchia sede municipale da adibire a
  biblioteca comunale, e facendo sapere al CAMARDA che lo
  SCHILLACI era disposto a mettersi a posto pur di potere
  realizzare quei lavori senza dover subire alcun danno od
  ostacolo di sorta;
        con le aggravanti di cui ai commi IV e VI dello stesso
  articolo per far parte di una associazione armata, avendo la
  disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle
  finalità dell'associazione, e per avere finanziato le attività
  economiche, assunte o controllate, in tutto o in parte, con il
  prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
        in Palermo, Villabate, Bagheria e altri Comuni della
  Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
  alla data odierna;
        20) per il reato di cui agli artt. 110, 353, commi 1 e
  2, con l'aggravante dell'articolo 7 D. L. 152/1991 per avere
  contribuito ad agevolare le condotte di VITALE Simone, CAMARDA
  Michelangelo ed INFANTINO Valerio finalizzate a turbare, con
  minacce e mezzi fraudolenti, la gara bandita in data 21 giugno
  1997 dello ACP di Catania, per un importo di circa 50
  miliardi, relativa alla costruzione del complesso adibito ad
  edilizia residenziale universitaria sito in contrada Tavoliere
  di Catania, inducendo, in particolare, i titolari dell'impresa
  CGP a presentare una offerta di appoggio in modo da consentire
  l'aggiudicazione dell'appalto all'impresa COGECO di RANDAZZO
  Vincenzo;
        in Palermo, in data anteriore e successiva al 21 giugno
  1997 e sino al momento dell'arresto di INFANTINO Valerio
  avvenuto in seguito all'esecuzione dell'ordinanza di custodia
  cautelare del 16 dicembre 1997.
  CATANESE Salvatore, PARRINELLA Cosimo, LO BELLO Leonardo:
        21) del delitto di cui all'articolo 416  bis, 
  commi I e III, c.p., per aver fatto parte dell'associazione
  mafiosa Cosa Nostra, ed in particolare dell'articolazione
  territoriale facente capo al mandamento di Caccamo e agli
  uomini d'onore DI GESU' Lorenzo, INTILE Francesco, GAETA
  Giuseppe, GIUFFRE' Antonino, PANZECA Giuseppe ed altri,
  avvalendosi quindi della forza di intimidazione del vincolo
  associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà
  che ne deriva per commettere delitti; per acquisire in modo
  diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di
  attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di
 
                             Pag.25
 
  appalti e servizi pubblici; per realizzare profitti e vantaggi
  ingiusti per sé e gli altri;
        per tutti, con le aggravanti di cui ai commi IV e VI
  dello stesso articolo per far parte di una associazione
  armata, avendo la disponibilità di armi ed esplosivi per il
  conseguimento delle finalità dell'associazione, e per avere
  finanziato le attività economiche, assunte o controllate, in
  tutto o in parte, con il prezzo, il prodotto o il profitto di
  delitti;
        in Termini Imerese, Trabia, Palermo, altri Comuni della
  Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
  alla data odierna;
                           RILEVATO
        che - a seguito dei decreti n. 155/97, 186/97, 219/97,
  458/97 e 622/97 - il G.I.P. presso questo Tribunale ha
  autorizzato l'intercettazione delle comunicazioni telefoniche
  sulle utenze in uso, rispettivamente, alle seguenti persone
  sottoposte ad indagini:
          utenza n. 091-611(...) in uso a PANZECA Giuseppe;
          utenza n. 0338-828(...) in uso PANZECA Giuseppe;
          utenza n. 091 -614(...) in uso MANDALA' Antonino;
          utenza n. 0336-891(...) in uso a MANDALA'
  Antonino;
        che tra tutte le conversazioni intercettate e
  registrate ve ne sono talune nelle quali uno degli
  interlocutori è stato sicuramente individuato nell'on.  GIUDICE
  Gaspare, attuale membro della Camera dei Deputati, in
  relazione al quale il G.I.P., su richiesta di questo Ufficio,
  ha emesso una ordinanza di custodia cautelare per i reati in
  premessa analiticamente specificati;
        che, tra queste ultime, assumono particolare rilevanza
  ai fini della prova delle vicende oggetto del presente
  procedimento quelle di seguito elencate:
      utenza n. 0338-828(...) in uso PANZECA Giuseppe:
                      ...  (omissis) ...
 
                             Pag.26
 
                      ...  (omissis) ...
 
                             Pag.27
 
      utenza n. 091-611(...) in uso a PANZECA Giuseppe;
                      ...  (omissis) ...
      utenza n 0336 89(...) intestata a MANDALA' Antonino;
                      ...  (omissis) ...
      utenza 091-614(...) in uso a MANDALA' Antonino;
                      ...  (omissis) ...
 
                             Pag.28
 
                           RILEVATO
      inoltre che con decreto 738/97 il G.I.P. ha autorizzato
  l'acquisizione dei dati documentanti il traffico dell'utenza
  cellulare n. 0337 - 962205 in uso ad INFANTINO Valerio,
  Dirigente Superiore dell'Assessorato Regionale ai Lavori
  Pubblici, in atto detenuto in esecuzione di una ordinanza di
  custodia cautelare per i reati di cui agli artt. 461
  bis,  11O, 81, 319, 353 e 513  bis  c.p.;
        che, tra tutti i contatti telefonici documentati,
  assumono particolare rilevanza ai fini della prova delle
  vicende oggetto del presente procedimento quelli di seguito
  analiticamente indicati, intercorsi con le utenze:
          0360 - 86(...);
          0336-81(...);
          091-53(...);
          0338-703(...);
      tutte in uso all'on.  GIUDICE:
                      ...  (omissis) ...
 
                             Pag.29
 
                      ...  (omissis) ...
 
                             Pag.30
 
                      ...  (omissis) ...
 
                             Pag.31
 
                      ...  (omissis) ...
 
                             Pag.32
 
                         CONSIDERATO
      che queste conversazioni ed i dati di traffico telefonico
  evidenziati non appaiono manifestamente irrilevanti, in quanto
  attengono comunque - coerentemente ad altre diverse e
  convergenti risultanze processuali - alla dimostrazione
  dell'esistenza di rapporti tra l'on.  GIUDICE e gli esponenti
  dell'organizzazione mafiosa Cosa Nostra, ed in particolare
  MANDALA' Antonino e PANZECA Giuseppe, nonché tra lo stesso on.
  GIUDICE ed INFANTINO Valerio, alto dirigente amministrativo
  della Regione Siciliana risultato profondamente inserito nella
  medesima organizzazione criminale ( in merito all'origine,
  alla natura, alla incidenza di questi rapporti ai fini del
  consolidamento e del rafforzamento della posizione
  dell'organizzazione Cosa Nostra si vedano la richiesta di
  ordinanza di custodia cautelare e l'ordinanza del G.I.P.);
        che le risultanze in questione - compendiate nelle
  allegate trascrizioni disposte dall'Ufficio mediante apposita
  consulenza tecnica - scaturiscono da intercettazioni non
  suscettibili di preventiva autorizzazione ex articolo 68,
  comma 30, Cost. proprio perché non riguardanti utenze
  telefoniche intestate od in uso a parlamentari;
        che, in conseguenza della mancata conversione in legge,
  il decreto legge 23 ottobre 1996, n. 555, recante
  "disposizioni urgenti per l'attuazione dell'art-.-68 della
  Costituzione" non ha più alcuna efficacia e che pertanto, in
  assenza di specifica previsione normativa, si deve pienamente
  condividere l'indirizzo già espresso in talune decisioni
  secondo cui "la peculiare garanzia di cui all'articolo 68
  Cost. concerne il caso dell'assoggettamento a controllo di
  utenze in uso a membri del Parlamento, a tanto la Autorità
  giudiziaria dovendo essere autorizzata dalla Camera di
  appartenenza, a tutela della funzione parlamentare", apparendo
  quindi indiscutibile "la piena utilizzabilità" delle
  conversazioni nei confronti "di soggetti non appartenenti
  all'organo costituzionale" ai quali non può certo essere
  estesa, nel silenzio della legge ordinaria e costituzionale, e
  in contrasto con i principi di uguaglianza di tutti i
  cittadini davanti alla legge e di obbligatorietà dell'azione
  penale, la garanzia eccezionalmente riservata dall'articolo 68
  della Costituzione alla persona del parlamentare a
  salvaguardia della fondamentale funzione dallo stesso
  esercitata;
        che in funzione della assoluta ed incondizionata
  salvaguardia della funzione parlamentare, e delle garanzie ad
  essa strumentali, debba trovare attuazione l'orientamento
  interpretativo che, pur andando oltre la lettera ed il
  meccanismo stesso della previsione costituzionale
  dell'articolo 68, subordina ad una autorizzazione,
  inevitabilmente postuma della Camera di appartenenza, la
  utilizzabilità delle conversazioni intercettate presso utenze
  di "terzi", anche nei confronti del membro del Parlamento che
  a tali conversazioni risulti aver partecipato;
        che le argomentazioni esposte valgono anche per la
  utilizzazione, nei confronti di parlamentari, di dati del
  traffico telefonico già legittimamente acquisiti in relazione
 
                             Pag.33
 
  ad utenze di "terzi" (quale è indubbiamente, nella specie,
  INFANTINO Valerio), sottostando a questa ipotesi la medesima
  ratio relativa alle intercettazioni vere e proprie;
                           RITENUTO
      inoltre che, per le ragioni esposte nella presente
  richiesta, appare necessario richiedere altresì
  l'autorizzazione all'acquisizione dei tabulati documentanti il
  traffico relativo alle seguenti utenze cellulari in uso
  all'on.  GIUDICE n. 0360 - 86(...), 0368-346(...),
  0338-703(...), 0338-838(...), 0336-81(...) - dal momento della
  loro attivazione sino alla eventuale cessazione;
        che per tutte le superiori richieste, pertanto, si
  rende necessario trasmettere copia dei relativi atti al
  Presidente della Camera per il seguito di competenza ai sensi
  dell'articolo 68, comma 30, della Costituzione, in ordine alla
  autorizzazione ad utilizzare nei confronti dell'on.  Gaspare
  GIUDICE le intercettazioni telefoniche ed i dati di traffico
  telefonico in questione, nonché a richiedere l'acquisizione e
  l'utilizzazione dei tabulati documentanti il traffico
  telefonico relativo alle utenze in uso allo stesso on.
  GIUDICE;
                           P. Q. M.
                            CHIEDE
        al Sig.  Presidente della Camera dei Deputati
  l'autorizzazione all'utilizzazione delle conversazioni
  telefoniche intercettate, analiticamente indicate in premessa
  ed integralmente esposte nelle allegate trascrizioni,
  all'utilizzazione dei dati provenienti dai tabulati
  documentanti il traffico di una utenza telefonica cellulare in
  uso ad INFANTINO Valerio, parimenti indicati in premessa,
  nonché all'acquisizione ed all'utilizzazione dei tabulati
  documentanti il traffico telefonico relativo alle utenze in
  uso all'on.  Gaspare GIUDICE.
  Palermo 8 giugno 1998.
                   I sostituti procuratori:
                        Gaspare Sturzo
                       C. Gaetano Paci
             I procuratori della Repubblica agg.
                         Luigi Croce
                        Guido Lo Forte
 
                             Pag.34
 
             Pagine da 34 a 413 ...  (omissis) ...
 
                    RELAZIONE DELLA GIUNTA
        PER LE AUTORIZZAZIONI A PROCEDERE IN GIUDIZIO
                   (Relatore:  ABBATE) 
                            sulla
  DOMANDA DI AUTORIZZAZIONE ALL'ESECUZIONE DELLA MISURA
  CAUTELARE DELLA CUSTODIA IN CARCERE, ALLA UTILIZZAZIONE DI
  CONVERSAZIONI TELEFONICHEINTERCETTATE NONCHE' ALLA
  ACQUISIZIONE ED ALLA UTILIZZAZIONE DI DATI DEL TRAFFICO
                          TELEFONICO
                  nei confronti del deputato
                           GIUDICE
  nell'ambito del procedimento penale n. 1232/96/D.D.A. per
  il reato di cui agli articoli 81, capoverso, 416, comma
  secondo, e 416-  bis,  commi primo e terzo, del codice
  penale (associazione per delinquere e associazione di tipo
  mafioso, continuate e aggravate); per concorso - ai sensi
  dell'articolo 110 del codice penale - nel reato di cui agli
  articoli 216 e 237 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e 7
  della legge 12 luglio 1991, n. 203, di conversione del
  decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (bancarotta fraudolenta,
  aggravata); per il reato di cui agli articoli 81, capoverso, e
  648-  bis  del codice penale, e 7 della legge 12 luglio
  1991, n. 293, di conversione del decreto-legge 13 maggio 1991,
  n. 152 (riciclaggio, aggravato); per concorso - ai sensi
  dell'articolo 110 del codice penale - nel reato di cui agli
  articoli 81, capoverso, dello stesso codice, 2621 del codice
  civile e 7 della legge 12 luglio 1991, n. 203, di conversione
  del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (false comunicazioni
  sociali, aggravate); per concorso - ai sensi dell'articolo 110
  del codice penale - nel reato di cui agli articoli 216 e 223
  del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e 7 della legge 12
  luglio 1991, n. 203, di conversione del decreto-legge 13
  maggio 1991, n. 152 (bancarotta fraudolenta, aggravata); per
  il reato di cui agli articoli 629, commi primo e secondo, del
  codice penale e 7 della legge 12 luglio 1991, n. 203, di
  conversione del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152
                   (estorsione, aggravata).
          TRASMESSA DAL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
             PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI PALERMO
                       il 9 giugno 1998
         Presentata alla Presidenza il 13 luglio 1998
 
                              Pag.2
 
     Onorevoli Colleghi! - 1.  La vicenda al nostro esame ci
  propone la esplorazione di contesti criminali di tipo mafioso
  nei quali si muove una moltitudine di ambigui personaggi e si
  incrociano interessi di dubbia natura facenti capo a gruppi o
  "clan" operanti in diverse aree di influenza: gli uni e gli
  altri, però, funzionalmente tesi alla realizzazione delle
  finalità tipiche del sodalizio criminale "mafia".
     Quella offerta alla nostra osservazione è una mafia non
  sanguinaria, ancorché sinistramente "nobilitata" da presenze
  ormai storiche del "gotha" mafioso (da Greco a Provenzano, a
  Brusca, Aglieri, Siino e tanti altri); di una mafia, tuttavia,
  non meno insidiosa, invasiva ed inquinante, caratterizzata da
  torbidi ed inquietanti intrecci tra criminalità, imprenditoria
  e politica.
     La vicenda che ci impegna, complessa ed estremamente
  articolata sia sul piano delle persone e dei gruppi che vi
  sono coinvolti, sia sul piano delle attività nelle quali si
  esplica l'azione di mafia, sia sul piano del tempo in cui tale
  azione si svolge, trova ampia e chiara descrizione nel
  documento giudiziario al nostro esame, la cui impostazione
  contenutistica e formale ben consente una rappresentazione
  ragionevolmente sintetica della peculiare o delle peculiari
  questioni - e solo di quelle - sulle quali la Camera dei
  Deputati è chiamata a far conoscere le sue determinazioni, che
  purtroppo pesantemente coinvolgono un membro di questa
  Assemblea.
     2.  L'ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Palermo, com'è
  agevolmente riscontrabile da un controllo degli atti,
  costituisce l'approdo di un processo investigativo ampio e
  diversificato, caratterizzato dalla utilizzazione di fonti di
  varia natura (dichiarazioni di propalanti, collaboratori o
  pentiti - riscontri documentali - verifiche tecniche -
  osservazioni ed appostamenti - intercettazioni telefoniche ed
  altro), tutte sottoposte a riscontri ragionati dai quali il
  P.M. prima ed il G.I.P. poi hanno tratto ragioni e titoli
  posti a fondamento delle richieste formulate.
     Dirò subito - e credo che la annotazione non sia
  indifferente rispetto alla natura delle valutazioni cui siamo
  chiamati - che la ordinanza del G.I.P., quali possano essere
  poi gli orientamenti culturali ed anche politici che ciascun
  membro del Parlamento maturerà su di essa, si segnala per il
  suo sereno approfondimento dei fatti, per la assenza di
  qualsivoglia condizionamento ideologico esterno, anche per un
  forte senso di controllo ed insieme di critica dei vari temi
  del suo argomentare, e, sotto il profilo tecnico-giuridico,
  per un approccio corretto alle varie questioni.
     Ha avuto cura, infatti, il G.I.P., di tenere - com'era
  giusto che fosse e com'è giusto che sia - ben distinti i
  problemi relativi all'autorizzazione all'arresto richiesto, da
  quelli riguardanti le intercettazioni indirette eseguite, che,
  pur potenzialmente utili rispetto al quadro investigativo,
  secondo le prefigurazioni dell'Autorità Giudiziaria, restano
  tuttavia fuori dalle tematiche cui si lega la richiesta di
  autorizzazione alla esecuzione della grave misura cautelare a
  carico di un membro del Parlamento.
     Degli specifici aspetti riguardanti le intercettazioni si
  parlerà all'esito delle determinazioni sulla richiesta di
  autorizzazione alla esecuzione della misura coercitiva,
 
                              Pag.3
 
  proprio per assicurare doverosa neutralità del primo problema
  rispetto al secondo.
     Non ha mancato, poi, il G.I.P., di darsi carico di un
  serio approfondimento delle tematiche in ordine alla
  sussistenza del delitto di associazione mafiosa, che
  costituisce il tema centrale delle contestazioni mosse al
  deputato inquisito, prendendo motivata posizione, alla luce
  degli orientamenti giurisprudenziali che si sono formati sul
  punto, sulle varie forme di partecipazione al sodalizio
  criminale, quindi correttamente sovrapponendo le valutazioni
  giuridico-culturali alla situazione di fatto risultata dalle
  attività investigative svolte.
     Ha poi affrontato la complessa problematica della
  efficacia dimostrativa delle dichiarazioni dei collaboranti e,
  perciò, delle chiamate in correità - che costituiscono, in
  indagini del tipo di quella sottoposta alla nostra
  valutazione, l'architrave del processo investigativo -, con
  riguardo alla loro credibilità intrinseca ed estrinseca e,
  quindi, all'apprezzamento dei loro riferimenti sulla base dei
  criteri indicati nell'articolo 192 del codice di procedura
  penale.
     Infine, tanto per indicare i profili giuridici più
  rilevanti, nell'ordinanza in esame, il G.I.P. ha, con
  riferimento all'indole ed alla natura dei delitti contestati,
  valutato, in termini di formale correttezza, il problema della
  sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e quello delle
  esigenze cautelari poste a fondamento della richiesta di
  autorizzazione.
     3.  Tutto questo non certo per esigenze, per così dire, di
  collaudo tecnico di natura giuridico-politica della
  impostazione data dal G.I.P. ai vari problemi.  Credo non sia
  neppure consentito in questa sede.
     La non indifferenza, però, - della quale prima dicevo - di
  siffatti giudizi rispetto alla natura, alla portata ed ai
  limiti della nostra pronunzia, discende dai convincimenti che
  ho maturato sulla qualità culturale, logica, ideologica e
  politica della risoluzione cui il Parlamento è tenuto.
     Sul punto in Giunta ed in Aula si sono, in altre
  occasioni, confrontate posizioni molto diverse, rispetto alle
  quali ho ritenuto e ritengo che il solo criterio del
  cosiddetto  "fumus persecutionis"  indicato da taluni
  unico paradigma di valutazione, inteso come preordinata
  volontà del giudice di nuocere all'incolpato, non può essere
  risolutivo del problema.  Se, infatti, bastasse questa sola
  verifica negativa, il problema nella specie sarebbe del tutto
  risolto.  Ed anzi neppure sorgerebbe, visto che la serena
  sobrietà dell'impegno del G.I.P. esclude qualsiasi ipotesi di
  intenzionale persecuzione.
     E' necessario, perciò, individuare altri e ben diversi
  criteri di valutazione.
     Mi sono sempre chiesto e continuo a chiedermi quale possa
  essere la regola dalla quale lasciarsi orientare.  Perché una
  regola deve pur esserci ed essa non può consistere in quella,
  di assai comoda praticabilità, ma di assai dubbia
  compatibilità democratica, di respingere sempre e comunque,
  per una sorta di difesa castale, ogni richiesta di privazione
  della libertà personale di un membro del Parlamento.
     Sarebbe, questa, una scelta del tutto fuori e contraria
  allo spirito della Costituzione, che si fonda
  sull'indefettibile principio della uguaglianza di tutti i
  cittadini, siano essi anche Deputati o Senatori.
     Certo, la elevatezza dello  "status"  del parlamentare
  impone, in un ordinamento come il nostro, strutturato sulla
  divisione dei poteri, che egli sia posto al riparo da eccessi
  od abusi del potere giudiziario, anche per le conseguenze che
  tali eccessi od abusi finirebbero per provocare sull'ordinato
  esercizio della funzione primaria dello Stato, e, cioè,
  sull'esercizio della sovranità popolare nel momento della
  formazione della legge.
     La soluzione del problema, quindi, va ricercata
  nell'ambito della generale funzione di garanzia, la quale,
  com'è agevolmente intuibile, assume, nei confronti dei membri
  del Parlamento raggiunti da provvedimenti coercitivi, un
  significato particolare.
     Altra ragione non può avere la previsione di cui
  all'articolo 68 della Costituzione, rimanendo escluso, per le
  ragione più sopra cennate, che la ipotizzata autorizzazione
 
                              Pag.4
 
  della Camera di appartenenza per la esecuzione dell'arresto di
  uno dei suoi membri, possa risolversi in una sorta di generale
  franchigia a favore dei parlamentari.
     Ovviamente, l'autorizzazione, proprio per il principio
  della divisione dei poteri, non partecipa dei caratteri della
  giurisdizione, e, quindi, non può assumere la sostanza di un
  ulteriore e specialissimo grado di giudizio.
     Il problema rimane, perciò, quello di stabilire i limiti
  ed il contenuto delle garanzie, le quali, sul piano
  concettuale ed ontologico, evocano comunque l'istituto del
  controllo.  Un controllo, però, avente caratteri e contenuti
  diversi da quello giurisdizionale in senso stretto,
  sostanziantesi in forme di verifiche tese ad accertare non già
  vizi o anomalie tipiche dell'atto, rilevanti sotto il profilo
  delle sanzioni processuali previste, bensì eccessi o abusi,
  per così dire atipici, più propriamente attinenti alle
  generali modalità di esercizio dei poteri di coercizione da
  parte dell'Autorita Giudiziaria, incidenti in definitiva su
  quelli che sono i momenti di sintesi di ogni provvedimento
  privativo della libertà: la sussistenza di gravi indizi di
  colpevolezza e la esistenza delle ragioni cautelari.
     Dubito possano venire in considerazione a tali fini,
  specifici profili di inopportunità politica dell'atto
  giudiziario ordinatorio dell'arresto, perché la autorizzazione
  del Parlamento più non si inquadra nell'istituto
  dell'autorizzazione a procedere - cui potevano anche non
  essere estranee valutazioni di questo tipo -, bensì in quello,
  di ben minore portata, della autorizzazione alla esecuzione
  dell'ordine già dato dal giudice.
     Tanto premesso, giova osservare che vanno a tali fini
  ricercati strumenti di composizione, per così dire, del
  conflitto tra i valori costituzionali in campo: la tutela
  della completezza e della integrità del  Plenum,  da un
  lato, e la esigenza di non ostacolare l'accertamento
  giudiziario dall'altro, chiaro essendo che è la prevalenza
  dell'uno o dell'altro valore, in relazione alle peculiarità
  della fattispecie, che dirime la questione.
     Sotto questo aspetto non si può prescindere, com'è
  agevolmente comprensibile, da una esplorazione del merito.  Una
  esplorazione, però, che pur senza raggiungere la pregnanza
  delle valutazioni proprie riservate in via esclusiva al
  giudice, consente nondimeno la ricerca di eventuali anomalie,
  di qualsivoglia natura, sostanziali o processuali, rivelatrici
  in qualche misura di un esercizio non del tutto corretto dei
  poteri di coercizione da parte dell'Autorità Giudiziaria, e,
  perciò,  "lato sensu"  indicative di una persecuzione, per
  così dire, non intenzionale, oggettiva.
     E' questo il criterio di fondo che deve orientare le
  nostre verifiche, all'esito delle quali, poi, con serenità di
  coscienza, affermare o escludere la esistenza di eventuali
  anomalie di merito e, conseguentemente, negare o concedere la
  autorizzazione richiesta.
     4.  Prima di procedere al "controllo" dei percorsi
  argomentativi sviluppati dal G.I.P., controllo ovviamente
  rapportato al quadro accusatorio (articolo 416-  bis  c.p.
  ed altro), e finalizzato, come si è avvertito, alla sola
  ricerca di possibili anomalie logico-giuridiche dalle quali
  trarre eventuali controindicazioni all'accoglimento delle
  richieste avanzate, non è inopportuno far cenno alle
  condizioni storico-ambientali del tempo che qui viene in
  considerazione (anni 80 e 90), durante il quale, per avvenuti
  mutamenti strutturali e strategici della organizzazione
  mafiosa, se ne realizzò un allargamento per così dire della
  base sociale, con conseguente diversificazione delle metodiche
  di azione e degli obiettivi di espansione, rivolti verso aree
  socio-economiche fino ad allora rimaste sostanzialmente
  estranee alle attività di stretta pratica mafiosa.
     Sul punto risultano alle Autorità Giudiziarie, anche per
  definitivi riscontri maturati in altri processi, acquisizioni
  difficilmente contestabili.
     5.  Il quadro di riferimento della indagine riguardante il
  Parlamentare inquisito è, come si è detto, quello del
  connubio, ormai storicizzato, tra potere politico, potere
 
                              Pag.5
 
  imprenditoriale e potere mafioso consolidatosi nel corso di
  almeno un decennio.
     Tale fenomeno si è caratterizzato nel tempo per un
  significativo dinamismo: si è, infatti, passati da una fase
  alla quale al sodalizio partecipavano solo imprenditori e
  politici in una logica spartitoria, contrassegnata da
  interventi di tipo estorsivo del potere mafioso (tangenti ed
  altro), ad una fase nella quale la mafia, "vuoi per ricercare
  nuovi e più remunerativi canali di approvvigionamento, vuoi
  per la maggiore facilità di occultare, attraverso
  l'inserimento in settori prima inesplorati, i propri profitti
  illeciti derivanti da settori operativi tradizionali (traffico
  di stupefacenti, contrabbando, estorsioni), si è inserita in
  modo progressivamente sempre più incisivo" ed ingombrante nel
  rapporto con le altre parti, fino ad imporre la essenzialità
  della sua presenza, con conseguenti comprensibili
  condizionamenti.
     Si sono, così, venute realizzando - ed anche questo è dato
  ormai consacrato alla storia cupa della criminalità mafiosa -
  delle vere e proprie cointeressenze affaristico-criminali, ed
  ha preso di conseguenza corpo il progressivo inquinamento di
  settori "sani" della economia isolana da parte di gruppi di
  sicura e forte caratura mafiosa.
     Siffatti mutamenti di obiettivo e di struttura della
  organizzazione delinquenziale sono stati favoriti, come ho
  avvertito, dall'allargamento della platea dei soci attraverso
  adesioni "  di servizio  " o "  a disposizione  ", che
  sono tipiche manifestazioni di associazione piena, di
  personaggi in certo modo insospettabili, capaci, per la loro
  collocazione istituzionale od anche semplicemente economica,
  di piegare alle mire espansionistiche della mafia importanti
  settori della economia o gangli vitali delle stesse
  istituzioni.
     E' noto, infatti, che la organizzazione mafiosa, anche
  perché in certa misura infiacchita dalle indagini sempre più
  efficaci delle forze di polizia, minata al suo interno dal
  fenomeno dei collaboratori di giustizia che ha posto in
  discussione il rigore delle storiche regole della omertà,
  provata da meccanismi sanzionatori che hanno consentito la
  acquisizione allo Stato di taluni patrimoni illecitamente
  costruiti, ha ritenuto, per un verso, di rivolgersi a
  personaggi spesso non al centro di indagini e non direttamente
  coinvolti nella organizzazione, ma pronti a fornire utili ed
  essenziali apporti continuativi per la realizzazione delle
  finalità mafiose, e di inventare, per altro verso, nuovi
  settori di intervento attraverso il riciclaggio di danaro o di
  beni al riparo da possibili azioni di sequestro e di confisca,
  e perciò in grado di assicurare la conservazione ed il
  consolidamento dei capitali e dei patrimoni illecitamente
  costituiti.
     6.  In tale quadro di riferimento si colloca, secondo le
  prospettazioni dell'Accusa, la adesione alla Mafia
  dell'onorevole Gaspare Giudice, nei cui confronti la Autorità
  Giudiziaria ha ricostruito, nel documento al nostro esame,
  storicamente ed anche criminologicamente, un ventennio di
  vissuta mafiosità.
     Una mafiosità, secondo quanto il G.I.P. lascia intendere,
  cangiante, mutevole nel suo concreto atteggiarsi, ma sempre
  estrinsecantesi in forme e con modalità peculiarmente legate
  alla sua professionalità, rivelatesi, perciò, sempre efficaci
  e vincenti rispetto agli obiettivi prefigurati.
     Una mafiosità che, proprio perché avente corso in circa un
  ventennio, ha finito per segnarne la esistenza, variamente
  caratterizzantesi in fasi o cicli, in relazione ai quali
  l'Accusa ha ipotizzato a suo carico, alla stregua delle
  investigazioni svolte e degli elementi acquisiti, un ventaglio
  di accuse molto gravi, tutte esplicitazioni della sua supposta
  militanza mafiosa.
     Con riferimento a siffatte esplicitazioni, e, perciò, con
  riguardo alle concrete attività sussunte poi nei vari capi di
  accusa, la Autorità Giudiziaria ha individuato e classificato,
  con valutazioni giuridiche di apparente coerenza logica,
  assistite anche da riferimenti giurisprudenziali, la forma e
  il grado di partecipazione dell'onorevole Giudice al sodalizio
  criminale, riconoscendone la sua immanente organicità ad esso
  e, perciò, stante la natura permanente del delitto di cui
  all'articolo 416-  bis  del codice penale, la attualità del
 
                              Pag.6
 
  suo essere "al servizio" e "a disposizione" della mafia,
  insomma dell'essere egli ancora oggi sostanzialmente e
  formalmente mafioso.
     Riservando al prosieguo un controllo logico della coerenza
  delle valutazioni del G.I.P. sul punto della sussistenza del
  delitto di cui all'articolo 416-  bis  del codice penale in
  relazione alle forme in cui si sarebbe realizzata la
  partecipazione del Parlamentare al sodalizio criminale, è
  opportuno sottolineare che le fasi che contrassegnarono la
  supposta mafiosità dell'onorevole Giudice possono storicamente
  così sintetizzarsi:
       a)  la fase relativa al tempo in cui egli fu
  Direttore della Sicilcassa di Termini Imerese Alta (3 marzo
  1980-3 ottobre 1985);
       b)  la fase relativa al tempo in cui rimase sospeso
  dal servizio in conseguenza del suo arresto per i delitti di
  associazione mafiosa e truffa in danno dello Stato, dai quali
  fu poi assolto (3 ottobre 1988-14 ottobre 1992);
       c)  la fase dalla sua riassunzione in servizio
  presso la Sicilcassa, Direzione Generale di Palermo (14
  ottobre 1992-aprile 1996) e dal tempo della sua elezione ad
  oggi.
     Il primo periodo o ciclo è quello della cosiddetta
  "iniziazione" dell'onorevole Giudice; una iniziazione non
  "sacramentale", ma costruita ed alimentata da una solida,
  vissuta e qualificata amicizia tra lui ed esponenti di spicco
  della consorteria criminale, quali Lorenzo Di Gesù, Giuseppe
  Calò, detto Pippo, cassiere della Mafia, e Giuseppe Gaeta.
     A servizio degli stessi, tutti definitivamente
  riconosciuti e dichiarati, in altri processi, colpevoli del
  delitto di associazione mafiosa proprio in relazione al
  riciclaggio bancario di danaro proveniente dal traffico della
  droga, in base a quanto risulta dagli atti di indagine,
  l'onorevole Giudice, nel tempo in cui fu Direttore della
  Sicilcassa di Termini Imerese, pose sè stesso e le sue
  funzioni, riciclando continuamente danaro di illecita
  provenienza, che i tre "uomini d'onore" gli affidavano
  addirittura quotidianamente, almeno per quanto riguarda il
  Gaeta.
     7.  Appare superfluo indulgere in una ricostruzione
  minuziosa di questi, come di altri accadimenti sui quali
  ampiamente e diffusamente si sofferma l'ordinanza del G.I.P.,
  cui si rinvia.  Basterà ricordare, per le finalità e per la
  natura dei compiti affidati al Parlamento, che sul tema del
  riciclaggio bancario ha più volte concordemente riferito
  all'Autorità Giudiziaria il collaborante Salvatore Barbagallo,
  che dei fatti aveva informazioni di prima mano, per essere
  stato autista del Di Gesù e, per tale sua qualità, anche
  consegnatario del danaro (mazzette da cinquanta milioni
  ciascuna, avvolte in giornali), che veniva poi da lui affidato
  all'indagato.
     Le innegabili riserve sulla attendibilità del dichiarante,
  alimentate soprattutto da giudiziarie smentite, in altri
  processi, dei suoi contributi conoscitivi, non ne provocano la
  espulsione dalle fonti utilizzabili.
     I processi di mafia, com'è noto, si caratterizzano, sul
  piano probatorio, per una sorprendente e significativa
  disomogeneità che ne impedisce la riconduzione a schemi
  probatori tipici.  Le stesse fonti, infatti, per la natura dei
  fenomeni criminali e dei fatti da provare, in taluni processi
  finiscono per accreditarsi di affidabile tenuta, mentre in
  altri non consentono affidamento di sorta.
     Il problema, quindi, fatte salve le regole di giudizio
  codicisticamente affermate e affinate da arricchimenti
  giurisprudenziali e dottrinali autorevoli, vive delle sue
  peculiari specificità in relazione al caso concreto; sicché
  può accadere, e spesso accade, che ciò che costituisce fonte
  qualificata in un caso, tale può non essere in altro caso.
     Nella specie, poi, il G.I.P. non si è neppure nascosto il
  naufragio delle tesi proposte in altro processo dal Barbagallo
  in ordine alla affermata mafiosità di Giuseppe Panzeca,
  assicurando tuttavia che successivi disvelamenti avrebbero
  accreditato di verità affermazioni del dichiarante ritenute
  inattendibili.
 
                              Pag.7
 
     Quanto, in particolare, alla specificità del caso, va
  osservato che le affermazioni del Barbagallo hanno trovato,
  per un verso, conferma nelle dichiarazioni degli altri
  collaboranti, ingegner Salvatore Lanzalaco - addirittura
  depositario di confidenze fattegli sul punto dallo stesso
  Giudice -, le cui preziose informazioni hanno contribuito a
  disvelare, secondo quanto annota l'Autorità Giudiziaria,
  ulteriori inquietanti scenari di sinistri collateralismi tra
  il Parlamentare ed altri ambienti mafiosi, e Angelo Siino, il
  cui rilevante ruolo nella struttura di "Cosa Nostra" lo ha
  reso depositario di utili notizie, e, per altro verso,
  riscontro nei documenti rinvenuti e sequestrati presso la
  banca, dai quali è risultato, in sintonia con quanto riferito
  dal dichiarante, che le rimesse destinate al riciclaggio, che
  non venivano dal Giudice subito convertite in "danaro pulito"
  o in assegni circolari - dei quali pure sono state rinvenute
  tracce -, intestati, di volta in volta, a Di Gesù Rosa,
  sorella di Lorenzo, Panzeca Gioacchino, padre del ben più
  famoso Giuseppe, Intile Francesco, allora capo mandamento di
  Caccamo, Guzzino Pietro e Nicosia Filippo, entrambi "uomini
  d'onore" dello stesso mandamento, erano depositate su libretti
  anonimi recanti intestazioni floreali (margherita, ortensia,
  rosa marina eccetera), pur essi ritrovati.
     Sul tema l'onorevole Giudice, nell'interrogatorio cui sì è
  sottoposto innanzi a P.M. di Palermo e nell'audizione innanzi
  alla Giunta, ha rivendicato la regolarità della sua azione,
  con un caparbio richiamo alle regole disciplinanti i servizi
  bancari all'epoca dei fatti, quasi che la esistenza delle
  stesse potesse da sola porlo al riparo dai gravi sospetti dai
  quali purtroppo è raggiunto.
     Ha tacciato di "farneticamento" il ragionamento del
  Barbagallo, ma ha riconosciuto che questi era un abituale
  frequentatore della banca, in tal modo ammettendo quel
  presupposto di fatto cui il dichiarante ha legato i suoi
  ricordi accusatori.
     Ha anche ammesso di aver avuto conoscenza e rapporti con
  tutti gli "uomini d'onore" del "mandamento di Caccamo", da Di
  Gesù a Gaeta, a Panzeca ed altri, ma di averne ignorato la
  loro organicità alla consorteria criminale.  Eppure, per
  comportamenti e fatti risalenti agli anni 80, tristemente noti
  nella intera area dei mandamento, delle suddette persone fu
  giudiziariamente riconosciuta e dichiarata, con sentenza del
  1991, nel famoso processo della cosiddetta "mafia delle
  Madonie", la appartenenza alla mafia.
     Non ha negato la accensione di libretti di deposito
  bancario con intestazioni floreali, dichiarando, però, che
  agli atti della Banca risultavano le effettive intestazioni.
  Affermazione questa, pare, contraddetta dalle risultanze delle
  indagini tecniche espletate, tutte indicative di una
  sostanziale anonimia delle operazioni, faticosamente superata
  soltanto attraverso laboriosi riscontri grafici, indicativi di
  sinistre intestazioni soggettivamente mafiose.
     Insomma, al di là di una considerazione per davvero
  doverosa, di umana rispettabilità e di apprezzamento del suo
  dignitoso atteggiarsi, le difese dell'onorevole Giudice non
  sono valse ad incrinare la solidità dell'impianto accusatorio
  ipotizzato nel documento all'esame del Parlamento.
     8.  Non sono poi senza significato, nella prospettazione
  accusatoria, la circostanza, pure affermata dal Barbagallo,
  che il "carismatico" Di Gesù, nel presentarlo al Giudice per
  accreditarne la rappresentanza a porre in essere per suo conto
  attività di riciclaggio, ne segnalò, con affermazione di
  univoco significato, una reciproca e complice vicinanza,
  dicendo loro che essi "erano la stessa cosa", e la lettera
  autografa dello stesso Parlamentare, il quale, scrivendo a
  Giuseppe Panzeca, nel cui possesso fu poi rinvenuta e
  sequestrata, per chiarire le ragioni di un contrasto tra di
  loro insorto in ordine alla gestione delle società nautiche,
  evocò il pacificante ricordo della devozione che lo aveva
  legato a suo zio, Lorenzo Di Gesù, noto e celebrato capo-mafia
  del mandamento.
     A fronte di siffatte acquisizioni che, secondo quanto
  sottolinea l'Ordinanza, finiscono per realizzare quel fenomeno
  probatorio che la dottrina e la giurisprudenza indica come "la
 
                              Pag.8
 
  convergenza del molteplice", riesce difficile porre in
  discussione, allo stato degli atti, la correttezza
  logico-giuridica della qualificazione che del comportamento
  dell'onorevole Giudice ha dato il P.M., apparendo anche, alla
  stregua di quanto fino ad oggi emerso dalle indaghi, non
  contestabili in fatto gli aiuti offerti dall'indagato a vari
  esponenti di spicco delle famiglie mafiose e, in diritto, la
  astratta configurabilità, per tali fatti, del delitto
  contestato di partecipazione ad associazione mafiosa.
     9.  Senza volere invadere campi preclusi alla esplorazione
  del Parlamento, ma al solo fine di individuare un riferimento
  culturale di orientamento, non è inutile rimarcare, in linea
  con le osservazioni contenute nel documento giudiziario
  all'esame di questa Assemblea, che la partecipazione
  all'associazione mafiosa, che non si concreti in una formale e
  sacrale affiliazione, deve sostanziarsi nell'espletamento, ad
  opera del partecipe, di compiti propri dell'associazione, di
  azioni, cioè, funzionali allo scopo dell'associazione.  Deve
  trattarsi, ovviamente, di una partecipazione continua,
  rivelatrice, cioè, della immanente stabilità del vincolo
  associativo e, di conseguenza, della organicità dell'associato
  rispetto alla consorteria criminale.
     10.  Il prosieguo delle attività mafiose dell'onorevole
  Giudice, secondo la rappresentazione che di esse si coglie
  nell'ampio documento giudiziario ordinatorio del suo arresto,
  si sviluppa secondo forme e con modalità, per così dire non
  omogenee o, comunque, non iniformi, nel senso che egli, nel
  tempo, pose e poi sovrappose ed anche cumulò condotte o
  comportamenti di riciclaggio non più strettamente bancario,
  maliziose strumentalizzazioni di funzioni bancarie nelle quali
  fu reintegrato dopo la sua sospensione dal servizio, attività
  di ampio riciclaggio di risorse mafiose in settori
  imprenditoriali fino ad allora sconosciuti alla mafia o ad una
  certa mafia, comportamenti mediatori volti a creare cupe
  sinergie tra cosche mafiose di diversa estrazione
  territoriale; insomma un multiforme attivismo sostanzialmente
  e formalmente teso a consolidare capitali mafiosi in
  investimenti di apparente liceità, ponendoli così al riparo da
  eventuali azioni di sequestro o di confisca.
     Su questi scenari campeggia la figura di Giuseppe Panzeca,
  rispetto al quale non è compito del Parlamento ricostruirne la
  supposta sua mafiosità, la quale peraltro è oggetto di attenta
  valutazione in altro procedimento.  Egli è, tuttavia, - e
  l'annotazione è utile per comprendere o comunque per chiarire
  la natura delle intense e mai dismesse relazioni ed intese che
  lo hanno legato e, secondo l'accusa, ancora lo legano
  all'onorevole Giudice - persona di elevata genealogia mafiosa
  per essere nipote del famoso Lorenzo Di Gesù e per esserne
  divenuto, per così dire, alla sua morte, erede universale.  I
  collaboranti Salvatore Barbagallo, Gaetano Lima, Francesco Di
  Carlo addirittura lo qualificano "uomo d'onore" che è il
  massimo grado della gerarchia criminale, e Angelo Siino - che
  lo colloca nel gruppo Aglieri/Provenzano, mitico ed
  irriducibile oppositore del "clan" dei corleonesi - ne
  qualifica l'azione nel settore degli appalti; un'azione
  favorita, a dire del Siino, dagli autorevoli collateralismi
  politici che egli seppe procurarsi.
     Il Panzeca, che, secondo l'ingegner Lanzalaco, secondò
  l'aggregazione al gruppo Aglieri-Provenzano anche
  dell'onorevole Giudice, alla stregua delle indicazioni esposte
  nella ordinanza del G.I.P., ha ampiamente consolidato, dagli
  anni 80 ad oggi, la sua posizione all'interno di "Cosa
  Nostra", divenendo uno degli imprenditori più attivi nel mondo
  degli appalti, anche grazie alle aderenze conquistate nella
  politica, acquisendo, perciò, un ruolo rilevante in tutte
  quelle attività finalizzate alla infiltrazione mafiosa nella
  imprenditoria e nei lavori pubblici (Ord. pp. 73 e ss.).
     Il rapporto tra Panzeca e Giudice, un rapporto quasi
  ventennale, radicatosi nell'antica devozione che il
  parlamentare inquisito aveva avuto per Lorenzo Di Gesù,
  costituisce lo snodo centrale di questa vicenda.  Essa trova
  poi le sue proiezioni operative - cui si legano le accuse
  contestate -, in termini di attività mafiose, nella
 
                              Pag.9
 
  espansione  (in base agli atti fortemente voluta ed
  efficacemente favorita dal Giudice) del gruppo Panzeca, cui si
  associò, nel settore della nautica, anche il gruppo Lanzalaco;
  nella  realizzazione,  in tale settore, di inquietanti
  sinergie (anche queste, secondo quanto appare lecito dedurre
  dagli atti, volute, guidate e favorite dall'onorevole Giudice)
  tra mafia, per così dire, di provincia e mafia di città, con
  conseguente definitivo svuotamento economico di aziende sane e
  produttive; nel  rinnovato asservimento  dei servizi
  bancari della Sicilcassa, nel tempo in cui l'onorevole Giudice
  riprese ad operarvi nel delicato settore delle "  posizioni
  rischio in osservazione  ", alle attività e alle pretese del
  gruppo Panzeca.
     Uno scenario, quindi, estremamente complesso e vario,
  forse di non agevole, ma non impossibile, ricostruzione
  storica, certamente inquietante per le acquisizioni raccolte,
  rivelatrici, come sono, di presenze di attività tipicamente
  mafiose, la cui esplorazione ha impegnato la Polizia
  Giudiziaria prima (Guardia di Finanza e Carabinieri) e
  l'Autorità Giudiziaria poi, in un paziente e accorto lavoro di
  coordinamento e di controllo, volto ad offrire strumenti di
  conoscenza e chiavi di lettura di fenomeni che altrimenti
  sarebbero rimasti oscuri o indecifrati.
     Non è compito del Parlamento cimentarsi in un'attività di
  ricerca e di qualificazione giuridica di fatti o di
  comportamenti di rilevanza penale.
     E' utile, però, per le peculiari finalità delle risposte
  che la Camera dei Deputati deve dare ai quesiti che le sono
  stati proposti, assumere, sulla base degli atti offerti in
  valutazione, conoscenza delle tematiche fattuali e giuridiche
  sulle quali si fondano le richieste di autorizzazione,
  rispetto alle quali, quindi, anche in questa sede non si può
  rimanere indifferenti.
     11.  La centralità del ruolo svolto dall'onorevole Giudice
  nella vicenda specificamente riguardante il settore nautico si
  fonda sulla sua ultradecennale presenza in quel settore, sulle
  esperienze da lui in esso maturate e sulle interessenze di
  carattere affaristico da lui in esso realizzate.
     Ed infatti, già dal 1986 e, cioè, appena dopo la sua
  sospensione dalla Sicilcassa, si riscontrano significative e
  qualificate tracce della sua presenza nelle aziende facenti
  parte del c.d. pacchetto Bazan, offerto poi, grazie alle sue
  capacità mediatorie, alla infiltrazione di occulte
  interessenze mafiose e, perciò, alla espansione, attraverso
  una sostanziale attività di riciclaggio, della mafia nel
  settore della nautica da diporto.
     Socio della società cooperativa a responsabilità
  limitata  "Il Salpancore"  fin dal 1986 e poi addirittura
  presidente del consiglio di amministrazione, vi immise,
  accanto ai Bazan, anche persona a lui molto vicina, come la
  sua convivente Rosalia Vesco.  Fondò, insieme ai Bazan la
  s.r.l.  "Gente di mare",  sottoscrivendo una quota
  iniziale di capitale sociale di lire venti milioni, e operò,
  come risulta documentalmente accertato, anche per conto di
  "Marina Uno",  in una attività di intermediazione per
  l'acquisto e la vendita di imbarcazioni e di materiale
  nautico, fin dal 1987, curando sostanzialmente la gestione
  dell'azienda ancor prima del suo ingresso ufficiale negli
  organismi societari, avvenuto l'8 febbraio 1992, allorché, per
  il tramite di sua figlia Domitilla, ne divenne, insieme a
  Lanzalaco ed al Panzeca, socio.
     Stante tale sua posizione nell'ambito del settore nautico
  ed in particolare delle società del gruppo Bazan, e stante la
  sua intima e contaminante vicinanza a Giuseppe Panzeca, riesce
  comprensibile ed anche verosimile sul piano logico, se già non
  risultasse da elementi dimostrativi di varia indole pure
  acquisiti nel corso delle investigazioni, la iniziativa
  dell'onorevole Giudice nel processo di espansione del gruppo
  Panzeca-Lanzalaco dal settore degli appalti a quello della
  imprenditoria nautica.
     Anche su questo tema esistono riscontri che concorrono,
  secondo quanto accertato dalla Polizia giudiziaria e dal P.M.,
  per la loro significativa valenza, a conferire alta
  attendibilità, intrinseca ed estrinseca, ai riferimenti del
  collaborante ing. Lanzalaco che sul punto ha offerto preziose
  indicazioni.
 
                             Pag.10
 
     Questi, sedotto come fu, dalle mire espansionistiche
  prospettategli dal Panzeca e dal Giudice, entrò, insieme ai
  due, nell'affare Bazan, assunse la sostanziale titolarità del
  gruppo, sollevò i precedenti titolari da obbligazioni
  fldejussorie presso banche, concorse a sottrarre le tre
  aziende  "Marina Uno", "Il Salpancore",  e  "Gente di
  mare"  al concordato preventivo che Gaspare Bazan propose e
  concluse in relazione alla situazione debitoria
  ultramiliardaria (oltre quattro miliardi e seicento milioni)
  che gravava sull'azienda capofila del Gruppo, avente ad
  oggetto  "concessionaria d'auto",  iniziando in tal modo
  la criminale avventura in un settore, quello della nautica,
  nel quale, come si vedrà, erano già occultamente impegnati
  noti ambienti mafiosi della capitale isolana.
     Sul punto hanno dato concordi assicurazioni la teste Maria
  Francesca Natoli, che fu socio fondatore della cooperativa
  "Il Salpancore"  e socio di fatto, per conto di sua madre
  Antonia Giuliana, di  "Marina Uno",  Francesco Pirrotta,
  cognato del Lanzalaco, Giuseppe Zappia ed il ragioniere Pietro
  La Chiusa, già soci dell'avventuroso ingegnere in altre
  imprese criminali di tipo mafioso aventi ad oggetto il mondo
  degli appalti pubblici.
     La immissione del gruppo Panzeca-Lanzalaco-Giudice nel
  settore nautico, con la conseguente estromissione dei fratelli
  Bazan dalle tre aziende succitate, fu certamente ispirata
  dalla necessità di sottrarre, attraverso un audace e maliziosa
  operazione di bancarotta impropria - nella quale il Giudice
  spese la sua raffinata professionalità di bancario - tutta la
  patrimonialità del settore nautico dei Bazan al concordato
  preventivo da questi proposto per la situazione debitoria
  dell'azienda capofila operante nel settore auto (basti pensare
  che la nuova titolarità delle società nautiche risale all'8
  febbraio 1992, laddove il concordato preventivo, ormai al
  riparo dal coinvolgimento in esso anche delle aziende
  nautiche, fu proposto con atto del 14 marzo 1992), ma fu
  essenzialmente diretta ad assicurare l'espansione del gruppo
  Lanzalaco-Panzeca, di certa caratura mafiosa, in settore
  economico, quello nautico, nel quale la mafia cittadina aveva
  già investito le sue attività.
     Anche sul punto la difesa dell'onorevole Giudice innanzi
  al P.M. e nel corso dell'audizione innanzi alla Giunta è stata
  tutt'altro che persuasiva, languidamente volta, com'è stata,
  ad escludere innegabili finalità di bancarotta nella
  esclusione dei Bazan dalle aziende nautiche già di loro
  proprietà e ad accreditare insostenibili ipotesi di lecite
  cessioni di azienda e perciò regolari mutamenti soggettivi
  nella titolarità delle stesse.
     Accanto a queste finalità, per così dire dichiarate o
  comunque scoperte di bancarotta impropria, l'operazione di
  cessione del patrimonio sociale formato dalla quote del
  "Salpancore",  di  "Marina Uno"  e di  "Gente di
  mare"  dal patrimonio dei Bazan a quello
  Panzeca-Lanzalaco-Giudice nascondeva, però, - ed è questo
  l'aspetto più inquietante -, alla stregua delle risultanze
  acquisite nel corso delle indagini, ben più ambigui obiettivi
  che coinvolsero molto pesantemente - così sostiene il G.I.P. -
  l'onorevole Gaspare Giudice.
     Questi, secondo quanto è rappresentato nella ordinanza (p.
  113 e ss.), pare sia stato addirittura  "l'abile manovratore
  di una straordinaria azione di riciclaggio dei patrimoni
  illeciti facenti capo a Carlo Greco, Tinnirello Lorenzo,
  Giovanni D'Agati e Pietro Vernengo, tutti esponenti di primo
  piano delle famiglie mafiose di Santa Maria di Gesù e di Corso
  dei Mille, i quali, successivamente al 1989, avevano iniziato
  ad occultare tutto il loro patrimonio, mediante un
  trasferimento di risorse in altre società nautiche rispetto a
  quelle da loro gestite fino a quel momento.  Tale patrimonio
  era andato a consolidarsi all'interno del gruppo Bazan e
  questa operazione era stata una delle ragioni primarie del
  dissesto di questo gruppo economico, che era negli anni '90
  uno dei più importanti della città.  Ciò in quanto il gruppo
  mafioso aveva imposto la massima redditività del proprio
  investimento a scapito della stessa esistenza patrimoniale del
  gruppo Bazan".
     L'onorevole Giudice  "custode dell'investimento della
  famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù -  tale lo qualifica
 
                             Pag.11
 
  l'ordinanza -,  operò scientemente per salvaguardare tale
  danaro dalla distruzione fallimentare del gruppo Bazan,
  mediante la sostituzione di Bazan Gaspare, oberato di debiti
  ed ormai in pieno stato di insolvenza, con gli amici storici
  dei gruppo di Panzeca Giuseppe".  In questo modo egli finì
  per realizzare sinistre sinergie tra gruppi mafiosi diversi,
  una vera e propria  "joint venture"  tra i due gruppi -
  quello di Caccamo e quello di Santa Maria di Gesù e Corso dei
  Mille -, contribuendo al profondo radicamento ed al
  consolidamento delle posizioni di Cosa Nostra all'interno di
  un gruppo economico originariamente sano ed immune da
  infiltrazioni mafiose (ordinanza p. 114 e ss.).
     La ricostruzione di tale situazione trae causa ed alimento
  probatorio essenzialmente dalle dichiarazioni dell'ingegner
  Lanzalaco, protagonista non sempre vincente, ancorché di
  sicura affiliazione mafiosa di questa vicenda, cui hanno
  assicurato assistenza sul piano della credibilità estrinseca,
  Pietro La Chiusa, il collaboratore Giovanni Drago e, in certa
  misura, anche Angelo Siino.  Non sono neppure mancati riscontri
  documentali rilevati dalla Guardia di Finanza, la quale ha
  potuto accertare che varie aziende nautiche facenti capo a
  Giovanni D'Agati, Lorenzo Tinnirello e Pietro Vernengo avevano
  avuto frequenti rapporti - che l'onorevole Giudice si è
  ostinato a dichiarare di lecita commercialità - con le società
  già Bazan.
     In buona sostanza, l'ingegner Lanzalaco - sul conto del
  quale, peraltro, è mancata qualsiasi plausibile indicazione di
  un suo preordinato mendacio - potette accertare che nel gruppo
  Bazan operavano - sono sue le affermazioni -, quali  "soci
  occulti"  personaggi appartenenti a famiglie mafiose
  storiche, quali i Tinnirello, i Vernengo e i D'Agati, che,
  interessati particolarmente alla gestione delle società
  "Marina Uno"  e  "Gente di mare",  nelle quali, com'è
  noto, già operava con rilevanti ruoli l'onorevole Giudice,
  effettuavano, favoriti dal Parlamentare, in danno delle
  stesse, prelevamenti in nero di danaro, sconti di cambiali,
  intessendo anche con esse rapporti commerciali tali da
  assicurare a società gestite da loro prestanomi lo scambio di
  merce a costo zero o addirittura sottocosto  ("operazioni
  parassitarie"  le definisce il Lanzalaco), sì da procurare
  il depauperamento del patrimonio della società  "Marina
  Uno"  e, perciò, il suo svuotamento economico.
     L'ingegner Lanzalaco ha anche riferito di essere a
  conoscenza di incontri tra l'onorevole Giudice (del quale
  addirittura era stato discreto accompagnatore) e Carlo Greco,
  cui il primo avrebbe continuamente consegnato danaro
  proveniente dalla contabilità delle società ex Bazan e di aver
  dovuto subire, allorché tentò di liberare, non gratuitamente,
  la società  "Marina Uno"  dalle onerose interessenze del
  Bazan e del Giudice, la imposizione certamente estorsiva, e
  come tale contestata, e certamente indicativa di metodiche
  tipicamente mafiose, da parte del ben noto Carlo Greco - al
  cui cospetto il Giudice volle condurlo -, di rinunziare ai
  suoi propositi di estromissione dell'onorevole Giudice, a meno
  che non avesse provveduto, ad evidente copertura di interessi
  occulti, al versamento in suo favore di lire cinquecento
  milioni.
     12.  Le condotte poste in essere dal Parlamentare
  inquisito, così come ricostruite nella ordinanza del G.I.P., e
  qui sinteticamente rappresentate, sono astrattamente
  riconducibili, oltre che alle specifiche ipotesi delittuose
  contestate, per il loro significativo, costante e continuo
  riferimento alle finalità della consorteria criminale, nello
  schema del delitto di cui all'articolo 416-  bis  c.p., del
  quale pur costituiscono espressioni paradigmatiche anche i
  comportamenti  "anomali"  tenuti dal Parlamentare
  nell'ambito della Direzione Generale della Sicilcassa, nel
  tempo in cui riprese servizio, nei confronti del gruppo
  Panzeca; comportamenti tesi a salvaguardare, in danno della
  banca, prima ancora che le peculiari posizioni di sua figlia
  Domitilla e della Vesco - obbligate a garanzia di esposizioni
  delle società nautiche -, gli interessi del Gruppo, ponendoli
  al riparo, anche con artifizi documentali poi riscontrati
  (come ha assicurato l'ingegner Lanzalaco nonché come accertato
 
                             Pag.12
 
  a mezzo di consulenza tecnico-bancaria e dichiarato dal
  Direttore Generale della banca dottor Brizzi e dal Dirigente
  del Servizio Contenzioso avvocato Gattuccio), da possibili,
  necessarie e doverose azioni giudiziarie di recupero delle
  sofferenze o di rientro dalle esposizioni.
     13.  Accanto a questi temi cruciali della complessa ed
  articolata accusa, ruota, per così dire, uno sciame di ipotesi
  delittuose di contorno - riciclaggio (articolo 648-  bis
  c.p.); falso in bilancio (articolo 2621 c.c.); bancarotta
  propria (articoli 110 c.p., 216 e 235 L. Fall.) -, le quali
  pur traggono ragion d'essere dalle risultanze acquisite,
  ponendosi anch'esse in un rapporto di strumentalità rispetto
  all'accusa madre di associazione per delinquere di stampo
  mafioso.
     14.  Quindi, attività varie e di varia indole quelle poste
  in essere dall'onorevole Giudice, che si qualificano e si
  caratterizzano, secondo quando il P.M. ed il G.I.P. hanno
  rilevato, per le loro disvelate finalità di realizzare o
  favorire il perseguimento di interessi mafiosi, offrendo ad
  essi un decisivo e costante contributo causale.  Il che
  costituisce, alla luce delle considerazioni più innanzi
  svolte, l'  in se  del delitto di associazione mafiosa.
     15.  Il complesso delle acquisizioni probatorie risultate
  dalle investigazioni svolte, ed in questa relazione
  sinteticamente espresse, vuoi per la qualità intrinseca ed
  estrinseca delle fonti utilizzate, vuoi per la convergenza dei
  riscontri ricercati ed ottenuti, induce, com'è sottolineato
  nell'ordinanza del G.I.P., ad una valutazione di ragionevole
  probabilità della esistenza dei fatti da provare e della loro
  riferibilità all'indagato e, perciò, della esistenza di
  elementi indizianti che, in quanto non suscettibili di
  interpretazioni alternative, si qualificano per la loro
  elevata e grave potenzialità colpevolizzante.
     Riesce difficilmente contestabile, quindi, ammesso che in
  questa sede ciò sia consentito, la riconosciuta sussistenza
  dei due momenti di sintesi cui rapportare le valutazioni del
  Parlamento: dei gravi indizi di colpevolezza a carico
  dell'onorevole Giudice in relazione ai gravi fatti a lui
  attribuiti.
     Non autorizza giudizi di diversa indole la avvenuta
  acquisizione di provvedimenti del Tribunale del Riesame di
  Palermo, dichiarativi della nullità della ordinanza di
  custodia cautelare in carcere, dati nei confronti di Gaspare
  Bazan e Dario Lo Bue.
     La peculiarità dei casi sottoposti all'esame del Tribunale
  siciliano, le cui motivazioni peraltro sono del tutto ignote,
  impedisce qualsiasi effetto, per così dire, di trascinamento
  sull'impianto accusatorio relativo al Deputato inquisito,
  costruito, come si è visto, su un complesso di obiettivi fatti
  e circostanze dei quali non risulta che il Tribunale
  palermitano abbia posto in discussione la esistenza.
     D'altronde, il provvedimento relativo al Bazan, cui non fu
  contestata l'ipotesi delittuosa di cui all'articolo
  416-  bis  c.p., si fonda su fatti specifici di esclusivo
  riferimento all'indagato istante in riesame  ("mancanza di
  esigenze cautelari"),  laddove quello riguardante il Lo Bue
  contiene una generica, non illuminante e del tutto immotivata
  dichiarazione di nullità.
     Il rilievo concernente la condivisione della valutazione
  espressa nella ordinanza in ordine alla esistenza dei gravi
  indizi di colpevolezza torna utile, per le ragioni prima
  chiarite, ai fini della ricerca di eventuali anomalie, eccessi
  o forzature di carattere sostanziale o processuale, che, per
  davvero, sul tema non pare sussistano; onde, sotto tale
  particolare profilo di sintesi, il momento giudiziario
  prevale, per il suo forte e pregnante significato, sul valore
  costituzionale della tutela della intangibilità del
  plenum  assembleare.
     Anche sul punto delle esigenze cautelari poste a
  giustificazione ed a fondamento della misura non può non
  prendersi atto della ortodossia processuale della ordinanza
  del G.I.P..
     Pur venendo, infatti, in considerazione reati rispetto ai
  quali il codice di procedura penale costruisce, per la loro
  gravità, una presunzione di automatica adeguatezza della grave
  misura della custodia in carcere (articolo 275, nr. 3,
  c.p.p.), rispetto alla quale, di conseguenza, il giudice è
  assolto, secondo costante giurisprudenza di legittimità e di
 
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  merito, dall'onere della specifica motivazione della esistenza
  delle esigenze cautelari, perché pur esse presunte, il G.I.P.,
  con corretta analisi, ne ha individuato e dimostrato la
  ricorrenza con peculiare riferimento all'attualità
  dell'inserimento del Parlamentare nella organizzazione
  criminale; inserimento desunto anche dalla continuità dei
  rapporti dallo stesso tenuti con vari esponenti delle cosche
  mafiose (Panzeca, Mandalà ed altri), e dalla elevata
  potenzialità inquinante delle acquisende prove.  Potenzialità
  connessa al rango istituzionale del Parlamentare e perciò
  correlata alle intimidazioni che potrebbero subirne i numerosi
  testi o i dichiaranti chiamati a fare chiarezza dibattimentale
  dei loro riferimenti.
     La congruità logico-giuridica degli argomenti svolti dal
  G.I.P. e la doverosa ed opportuna precisazione, pure formulata
  nella ordinanza, della mancata acquisizione "di elementi dai
  quali risulti che non sussistono esigenze cautelari" (articolo
  275, nr. 3, ultima parte, c.p.p.), impedisce qualsiasi
  intervento censorio o di utile e producente dissenso rispetto
  alle scelte dell'Autorità Giudiziaria.  Prevale, perciò, anche
  sotto questo profilo il valore costituzionale della
  essenzialità dell'accertamento giudiziario rispetto all'altro
  valore in campo, attinente alla integrità del  plenum.
     Non vi sono, pertanto, controindicazioni al rilascio
  dell'autorizzazione alla esecuzione dell'arresto del Deputato
  Gaspare Giudice, cui non può neppure giovare il non condiviso
  richiamo, autorevolmente fatto in altra vicenda, alla
  necessità della eccezionale gravità dei fatti quale criterio
  di superamento del valore costituzionale della intangibilità
  del  plenum  assembleare, perché nella specie i fatti
  contestati al Parlamentare inquisito, sia nella loro astratta
  configurabilità giuridica, sia anche nel concreto inveramento
  accertato e ritenuto dalla magistratura,  sono
  eccezionalmente gravi.
     16.  Rimane da risolvere il problema relativo alle altre
  autorizzazioni richieste in via autonoma dal Procuratore della
  Repubblica di Palermo, aventi ad oggetto comunicazioni
  telefoniche riguardanti in vario modo l'onorevole Gaspare
  Giudice.
     Le autorizzazioni concernono:  a)  la utilizzazione di
  conversazioni telefoniche intercettate - ed integralmente
  trascritte - su utenze telefoniche in uso a soggetti diversi
  dal Parlamentare inquisito;  b)  l'utilizzazione dei dati
  provenienti dai tabulati documentanti il traffico di una
  utenza telefonica cellulare in uso a Valerio Infantino;
  c)  la acquisizione e la utilizzazione dei tabulati
  documentanti il traffico telefonico relativo alle utenze in
  uso all'onorevole Gaspare Giudice.
     Anche su questo tema si è realizzato in Giunta un
  significativo e vasto, ancorché non unanime, positivo
  riscontro sulla concedibilità delle autorizzazioni
  richieste.
     E' utile precisare che le conversazioni telefoniche
  all'attenzione della Magistratura palermitana, delle quali si
  chiede l'autorizzazione alla utilizzazione, si qualificano
  come comunicazioni c.d. indirette perché, anche se
  intercettate su utenze intestate a persone diverse dal
  Parlamentare, personalmente lo riguardano.
     E' noto che rispetto a questo tipo di comunicazioni
  telefoniche, stante la casualità delle stesse, la
  autorizzazione del Parlamento è necessariamente successiva,
  perché solo per quelle effettuate direttamente sulle utenze
  personali di un membro del Parlamento, è necessaria
  l'autorizzazione preventiva della Camera cui il Parlamentare
  appartiene.
     Premesso che sul punto riesce difficile non condividere
  l'orientamento - al quale pur si fa riferimento nelle
  richieste all'esame di questa Camera - circa la piena
  utilizzabilità delle c.d. conversazioni indirette nei
  confronti di soggetti non appartenenti all'Organo
  Costituzionale, per l'evidente rilievo che  "ad essi non può
  essere estesa, nel silenzio della Costituzione e della legge
  ordinaria",  la garanzia eccezionalmente riservata
  dall'articolo 68 della Costituzione a tutela delle funzioni
  parlamentari, giova osservare che il criterio che regola la
  materia è quello della rilevanza probatoria delle
  conversazioni, nel senso che quando queste non appaiono
 
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  manifestamente irrilevanti rispetto al tema delle indagini e,
  quindi, ai fatti da provare, e non ne sia stata procurata la
  acquisizione con forme e con modalità maliziosamente elusive
  dell'obbligo della previa autorizzazione del Parlamento, la
  utilizzazione deve essere autorizzata.
     Ora, non v'è dubbio che le conversazioni fra l'onorevole
  Giudice, Giuseppe Panzeca e Antonino Mandalà, intercettate
  sulle utenze facenti capo a questi ultimi due, sono
  potenzialmente dimostrative della vissutà attualità di un
  rapporto tra il Parlamentare e i due noti esponenti della
  consorteria criminale, e, quindi, non manifestamente
  irrilevanti rispetto al tema da provare della partecipazione
  anche del Parlamentare inquisito al sodalizio mafioso.
     Parimenti utili o comunque non manifestamente irrilevanti
  appaiono la utilizzazione dei tabulati documentanti il
  traffico delle utenze cellulari in uso a Valerio Infantino e
  la acquisizione, con conseguente utilizzazione, dei tabulati
  documentanti il traffico telefonico relativo alle utenze
  dell'onorevole Gaspare Giudice, così come precisate nelle
  richieste del P.M..
     E' evidente che per quanto riguarda il tabulato relativo
  alle utenze cellulari in uso all'Infantino, trattasi di una
  autorizzazione, per così dire, successiva perché correlata a
  documento già acquisito agli atti del processo sul quale
  risultano annotate conversazioni avvenute tra l'Infantino ed
  il Parlamentare.
     Rispetto, invece, ai tabulati documentanti il traffico
  telefonico sulle utenze in uso all'onorevole Gaspare Giudice,
  la autorizzazione richiesta è  "lato sensu"  preventiva
  perché, pur se riguardanti conversazioni già avvenute, il
  documento concerne le utenze del Parlamentare, sicché la
  Autorità Giudiziaria per averne la disponibilità prima e
  utilizzarlo poi per finalità investigative o di prova, deve
  necessariamente essere autorizzata dalla Camera cui il
  Parlamentare appartiene.
     La obiettiva diversità fra le due situazioni non induce
  diversità di regime o di disciplina, nel senso che sia nel
  primo caso (tabulato delle utenze dell'Infantino), che nel
  secondo (tabulato delle utenze cellulari in uso al
  Parlamentare), le autorizzazioni richieste, vuoi anche per
  l'acquisizione o per il solo utilizzo, presuppone pur sempre
  la non manifesta irrilevanza dei due documenti rispetto ai
  fatti da provare.
     Nella specie, l'Infantino, alto dirigente amministrativo
  della Regione siciliana, è risultato, dalle indagini svolte
  dalla Polizia Giudiziaria e dalla Autorità Giudiziaria,
  "profondamente inserito nella organizzazione criminale Cosa
  Nostra";  onde è di evidente utilità rispetto al fatto da
  provare (partecipazione dell'onorevole Giudice alla medesima
  consorteria criminale), il riscontro documentale dei frequenti
  rapporti telefonici tra i due.
     Di non minore utilità, o comunque di non manifesta
  irrilevanza, per le stesse finalità, è il controllo nominativo
  delle persone che hanno avuto conversazioni con il
  Parlamentare sulle sue utenze.  E' opportuno, quindi, oltre che
  doveroso, autorizzare anche la acquisizione e la conseguente
  utilizzazione dei tabulati comprovanti il traffico su tali
  utenze.
     Non è di ostacolo alla concedibilità delle autorizzazioni
  richieste la singolare  "novità"  della fattispecie perché
  la acquisizione dei tabulati comprovanti il traffico
  telefonico su utenze cellulari, ancorché non prevista dalla
  Costituzione o dalle leggi ordinarie va comunque ricondotta,
  al pari delle c.d. intercettazioni indirette, nell'ampia
  locuzione usata nell'articolo 68 Cost., che ipotizza l'obbligo
  della autorizzazione del Parlamento in relazione  "alle
  intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o
  comunicazioni"  riguardanti il Parlamentare.
                            P.Q.M.
     la Giunta delle Autorizzazioni formula la sua proposta nel
  senso che la Camera dei Deputati autorizzi, in accoglimento
  della richiesta in data 8 giugno 1998 proposta dal Procuratore
  della Repubblica di Palermo, la esecuzione dell'arresto
  dell'onorevole Gaspare GIUDICE - disposto dal G.I.P. del
 
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  Tribunale di Palermo con ordinanza dell'8 giugno 1998,
  nonché:
       a)  la utilizzazione delle conversazioni
  telefoniche intercettate, analiticamente indicate nella
  richiesta ed integralmente esposte nelle allegate
  trascrizioni;
       b)  la utilizzazione dei dati provenienti dai
  tabulati, indicati nella richiesta medesima, documentanti il
  traffico di una utenza cellulare in uso ad INFANTINO
  Valerio;
       c)  la acquisizione e la utilizzazione dei
  tabulati, pure indicati nella richiesta, documentanti il
  traffico telefonico relativo alle utenze in uso all'onorevole
  Gaspare GIUDICE.
                                   Michele ABBATE,  Relatore.
 
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