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Domande di autorizzazioni a procedere della XIII Legislatura

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46
DOC4T-0025
DOC IV ter n. 25 Legisl. XIII
03-05-96 [ DOC13-4TER-25 DO C134TER0025 13DOC4TER 00025 DOC13-4TER-25A 13DOC4TER 00025 A 000400042 DOC4TER 00025 000004T002500000101000437SI1 4 000101000464SI1 4 0000 00 00 ]
  RICHIESTA DI DELIBERAZIONE IN MATERIA DI INSINDACABILITA',
  AI SENSI DELL'ARTICOLO 68, PRIMO COMMA, DELLA COSTITUZIONE,
            NELL'AMBITO DI UN PROCEDIMENTO PENALE
                  nei confronti del deputato
                            SGARBI
  per concorso - ai sensi dell'articolo 110 del codice
  penale - nei reati di cui agli articoli 81, capoverso, 595,
  primo, secondo e terzo comma dello stesso codice, 30, primo,
  quarto e quinto comma, della legge 6 agosto 1990, n. 223, 13 e
  21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (diffamazione col mezzo
  della stampa continuata e aggravata); per concorso - ai sensi
  dell'articolo 110 del codice penale - nei reati di cui agli
  articoli 81, capoverso, 595, primo, secondo e terzo comma
  dello stesso codice, 30, primo, quarto e quinto comma, della
  legge 6 agosto 1990, n. 223, 13 e 21 della legge 8 febbraio
  1948, n. 47 (diffamazione col mezzo della stampa continuata e
                         aggravata).
              TRASMESSA DAL TRIBUNALE DI BRESCIA
           E PERVENUTA ALLA PRESIDENZA DELLA CAMERA
                       il 3 maggio 1996
 
                              Pag.2
 
             TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI BRESCIA
       Ufficio del Giudice per le indagini preliminari
  Proc. n. 2804/95 R.G.N.R. Proc. Rep. c/o Trib.  Brescia
  Proc. n. 299/96 R.G. G.I.P. Trib.  Brescia
            ORDINANZA DI RIGETTO DI ECCEZIONE E DI
       CONTESTUALE TRASMISSIONE DEGLI ATTI ALLA CAMERA
            DEI DEPUTATI DELLA REPUBBLICA ITALIANA
     art. 2 comma IV decreto-legge 12 marzo 1996, n. 116
      Il Giudice per le indagini preliminari dott. Giuseppe
  Ondei,
        letti gli atti del procedimento penale in epigrafe
  indicato;
        preso atto che il Pubblico Ministero ha chiesto il
  rinvio a giudizio dell'on.  Vittorio Sgarbi imputandolo:
        1) del delitto previsto e punito dagli articoli 81
  capoverso, del codice penale; 110, 595 comma I, II e III del
  codice penale nonché articolo 30, commi I, IV e V della legge
  n. 223 del 1990 in relazione agli articoli 13 e 21 della legge
  8 febbraio 1948 n. 47 - fatti commessi in data 29 e 30
  settembre 1995 nell'ambito della trasmissione televisiva
  "Sgarbi Quotidiani", trasmessa dalla rete televisiva a
  diffusione nazionale Canale 5, ai danni del sostituto
  Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano Dr.
  Piercamillo Davigo;
        2) del delitto previsto e punito dagli articoli 81
  capoverso, del codice penale; 110, 595 comma I, II e III del
  codice penale nonché dell'articolo 30, commi I, IV e V della
  legge n. 223 del 1990 in relazione agli articoli 13 e 21 della
  legge 8 febbraio 1948 n. 47 - fatti commessi in data 30 e 31
  ottobre 1995 nell'ambito della trasmissione televisiva "Sgarbi
  Quotidiani", trasmessa dalla rete televisiva a diffusione
  nazionale Canale 5, ai danni del sostituto Procuratore della
  Repubblica presso il Tribunale di Milano Dr. Piercamillo
  Davigo;
        rilevato che, nelle more dell'udienza preliminare, il
  difensore dell'on.  Sgarbi ha depositato memoria scritta nella
  quale sono state avanzate, tra le altre, le seguenti
  preliminari eccezioni e/o istanze poi ribadite all'odierna
  udienza:
        a)  applicazione al caso di specie - trattandosi
  di attività divulgative connesse all'attività parlamentare pur
  se svolte fuori dal Parlamento - dell'articolo 68, I comma,
  della Costituzione e conseguente pronunzia per il disposto
  dell'articolo 2 n. 3 decreto-legge 12 marzo 1996 n. 116 di
  sentenza ex articolo 129 codice di procedura penale;
        b)  in subordine, trasmissione degli atti alla
  Camera dei Deputati, ex articolo 2, comma IV, decreto-legge 12
  marzo 1996 n. 116, e conseguente sospensione del processo,
        rilevato, preliminarmente, che il parlamentare può, ex
  articolo 68, I comma, della Costituzione, esprimere opinioni e
  valutazioni anche critiche e con eventuale contenuto
  diffamatorio "attorno a problemi che possono
 
                              Pag.3
 
  interessare la pubblica opinione" senza per ciò essere
  chiamato a risponderne e che tale attività - secondo il
  disposto dell'articolo 2 decreto-legge 12 marzo 1996 n. 116 -
  può trovare esplicazione non solo nelle aule parlamentari ed
  in atti tipicamente parlamentari ma anche in luoghi diversi
  purché, in ogni caso, presenti una connessione con il mandato
  parlamentare; che, del resto, lo stesso articolo 68, I comma,
  della Costituzione - per l'attuazione del quale é stato
  emanato il citato decreto-legge n. 116 del 1996 - correla
  strettamente le opinioni espresse dal parlamentare alle
  funzioni parlamentari stesse (in tal senso v. anche Corte
  Cost. 16 dicembre 1993 n. 443); che tale normativa - la quale
  introduce una forma speciale di "immunità" - trova
  giustificazione nell'esigenza di tutela delle delicate e
  importanti funzioni parlamentari e proprio per la sua
  "specialità" è insuscettibile di applicazioni analogiche od
  estensive che si pongano in contrasto sia con la dizione
  dell'articolo 68, I comma, della Costituzione sia con la
  "ratio" che ha presieduto alla introduzione della prerogativa
  parlamentare inscrutinio, che, invece, laddove un parlamentare
  abbia pronunziato espressioni diffamatorie a danno di terzi
  non nell'esercizio delle funzioni parlamentari -
  nell'accezione sopra descritta - devono ritenersi applicabili
  allo stesso i medesimi limiti espressivi posti alla libertà di
  opinione, giudizio e critica che fa capo agli altri cittadini,
  che, infine, all'evidenza, proprio per la summenzionata cesura
  tra svolgimento di attività parlamentare anche connesse e
  svolgimento di altre attività non può certo ritenersi che
  ilparlamentare abbia una sorta di irresponsabilità estesa ad
  ogni forma di manifestazione diffamatoria del proprio pensiero
  in qualunque occasione esternato;
        preso atto che nel caso di specie l'on.  Sgarbi ha
  divulgato giudizi che presentano, quanto meno, un  fumus
  diffamatorio e una potenzialità offensiva nell'ambito di
  una trasmissione televisiva alla quale lo stesso era presente
  non come parlamentare ma come conduttore televisivo legato da
  regolare rapporto contrattuale professionale con la SpA "Reti
  televisive Italiane" sedente in Roma; che, pertanto, tali
  espressioni vanno certamente ricollegate alla sua attività di
  conduttore-opinionista per ciò retribuito e non a quella di
  parlamentare; che, invero, proprio l'esplicito rapporto
  professionale - sancito formalmente da un contratto - che
  legava all'epoca dei fatti l'on.  Sgarbi alle "Reti Televisive
  Italiane" impedisce di qualificare l'attività televisiva
  svolta dallo stesso come "comizio politico quotidiano" - sia
  pur nella più ampia accezione - dovendosi più correttamente
  definire tale attività come "svolgimento di prestazione
  professionale retribuita"; che, infine, eventuali giudizi
  "politici" espressi dal conduttore-opinionistaSgarbi
  nell'adempimento di una prestazione contrattuale retribuita
  non possono confluire nel concetto di attività parlamentari
  divulgative connesse se non a pena di concedere
  illegittimamente la facoltà ad un parlamentare di dire tutto
  ciò che vuole in modo diffamatorio in qualunque occasione e
  circostanza, facoltà, per vero, esclusa dallo stesso articolo
  68 I Cost. come innanzi spiegato; che, infine, le conclusioni
  cui è giunto questo Giudice sono già state ribadite in caso
  analogo dalla Camera dei Deputati nella seduta del 14
  settembre 1995 ove è stata concessa l'autorizzazione a
  procedere proprio nei confronti dell'on.
 
                              Pag.4
 
  Sgarbi con riferimento ad affermazioni diffamatorie che lo
  stesso avrebbe pronunziato nella trasmissione "Sgarbi
  quotidiani" ai danni del Procuratore della Repubblica di
  Palermo dr. Giancarlo Caselli;
        ritenuto che alla luce di quanto sopra esposto non va
  accolta l'eccezione concernente l'applicabilità dell'articolo
  68, I comma, della Costituzione proposta dalla difesa dello
  Sgarbi; che, quindi ex articolo 2 IV comma decreto-legge 12
  marzo 1996 n. 116 deve disporsi la trasmissione di copia degli
  atti alla Camera dei Deputati con conseguente sospensione del
  processo fino alla deliberazione della Camera dei Deputati -
  e, comunque, non oltre il termine di 120 giorni dalla
  recezione degli atti da parte della predetta Camera - e rinvio
  del processo all'udienza preliminare del 10 ottobre 1996 ore
  10,00.
                      Per Questi Motivi
      visti l'articolo 2 decreto-legge 12 marzo 1996 n. 116
                           RIGETTA
      l'eccezione avanzata dalla difesa dell'on.  Vittorio
  Sgarbi concernente l'applicabilità dell'articolo 68 I comma
  Cost. ai fatti per i quali si procede;
                            ORDINA
      l'immediata trasmissione di copia degli atti del processo
  alla Camera dei Deputati per le determinazioni di
  competenza.
                           DICHIARA
      la sospensione del processo sino alla deliberazione della
  Camera dei Deputati e, comunque, per un periodo non superiore
  a 120 giorni dalla recezione degli atti da parte della
  predetta Camera.
                            RINVIA
      il processo all'udienza del 10 ottobre 1996 ore 10,00
  dandone avviso alle parti presenti.
                            MANDA
      alla Cancelleria per quanto di competenza.
      Brescia, lì giovedì 18 aprile 1996.
                                                    Il Giudice
                                          Dott. Giuseppe Ondei
 
                    RELAZIONE DELLA GIUNTA
        PER LE AUTORIZZAZIONI A PROCEDERE IN GIUDIZIO
                   (Relatore:  PARRELLI)
                            sulla
  RICHIESTA DI DELIBERAZIONE IN MATERIA DI INSINDACABILITA',
  AI SENSI DELL'ARTICOLO 68, PRIMO COMMA, DELLA COSTITUZIONE,
            NELL'AMBITO DI UN PROCEDIMENTO PENALE
                  nei confronti del deputato
                            SGARBI
  per concorso - ai sensi dell'articolo 110 del codice
  penale - nei reati di cui agli articoli 81, capoverso, 595,
  primo, secondo e terzo comma, dello stesso codice, 30, primo,
  quarto e quinto comma, della legge 6 agosto 1990, n. 223, 13 e
  21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (diffamazione col mezzo
  della stampa continuata e aggravata); per concorso - ai sensi
  dell'articolo 110 del codice penale - nei reati di cui agli
  articoli 81, capoverso, 595, primo, secondo e terzo comma,
  dello stesso codice, 30, primo, quarto e quinto comma, della
  legge 6 agosto 1990, n. 223, 13 e 21 della legge 8 febbraio
  1948, n. 47 (diffamazione col mezzo della stampa continuata e
                          aggravata)
              TRASMESSA DAL TRIBUNALE DI BRESCIA
           E PERVENUTA ALLA PRESIDENZA DELLA CAMERA
                       il 3 maggio 1996
         Presentata alla Presidenza il 3 ottobre 1996
 
                              Pag.2
 
     Onorevoli Colleghi! - Dagli atti risulta:
       a)  che l'onorevole Vittorio Sgarbi ha assunto
  formale impegno, datato 1^ settembre 1995, di prestazione
  d'opera con la Spa Reti televisive italiane quale
  "conduttore-  entertainer  commentando ed esprimendo le
  proprie opinioni su argomenti di attualità e su quanto
  riportato dalla stampa in genere... - partecipando - alle
  attività di produzione, registrazione, promozione e
  diffusione...".  Nelle corolle dell'accordo sono previsti una
  serie di dettagliati obblighi dell'onorevole Sgarbi, così ad
  esempio finanche quello di indossare "adeguato vestiario
  moderno di sua proprietà a meno che la Rti non ritenga di
  dover fornire eventuali abiti e relativi accessori che Sgarbi
  dovrà restituire dopo l'uso".  Il corrispettivo sinallagmatico
  è stabilito in un compenso forfettario al lordo delle ritenute
  di legge, previdenziali e al netto di IVA, oltre al rimborso
  delle spese.  La durata di siffatte intese copre l'arco
  temporale dall'11 settembre 1995 al 20 settembre 1996;
       b)  che, nel territorio operativo delle intese
  suddette televisivamente titolato  Sgarbi quotidiani
  nelle trasmissioni del 29 e 30 settembre 1995, replicate
  nei giorni successivi, l'onorevole Sgarbi compariva mentre
  veniva trasmesso in apertura di trasmissione anche un quadro
  raffigurante due figure abbracciate, con fattezze di maiali,
  rivestiti di toga, tocco e un grembiule sporco di sangue, con
  una delle stesse figure che impugnava un coltello.  Nel corso
  di tale trasmissione quale conduttore televisivo, l'onorevole
  Sgarbi chiamava in causa anche il dottor Piercamillo Davigo
  con frasi e concetti che quest'ultimo riteneva lesivi della
  propria reputazione; di conseguenza sporgeva formale querela
  contro il medesimo onorevole Sgarbi e i soggetti che avevano
  omesso i dovuti controlli;
       c)  che il pubblico ministero chiedeva rinvio a
  giudizio dell'onorevole Vittorio Sgarbi imputandolo "del
  delitto previsto e punito dagli articoli 81, capoverso, 110,
  595, primo, secondo e terzo comma, del codice penale nonché
  articolo 30, primo, quarto e quinto comma della legge n. 223
  del 1990, in relazione agli articoli 13 e 21 della legge 8
  febbraio 1948, n. 47, perché, con più azioni esecutive del
  medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro,
  rispettivamente Sgarbi Vittorio, Gori Giorgio in qualità di
  persona delegata dal concessionario televisivo privato al
  controllo della infradetta trasmissione televisiva,
  nell'ambito di trasmissione televisiva a diffusione nazionale
  denominata  Sgarbi quotidiani,  andata in onda il giorno
  29 ottobre 1995, e riproposta in replica il 30 ottobre 1995,
  sulla rete televisiva  Canale 5,  rendevano dichiarazioni
  false e comunque gravemente offensive della reputazione del
  dottor Piercamillo Davigo, sostituto procuratore della
  Repubblica presso il tribunale di Milano, in particolare,
  tenendo esposto alle proprie spalle un disegno raffigurante
  due maiali vestiti da magistrati con coltello e con grembiule,
  dichiarando - tra l'altro - testualmente quanto segue:
      -  ma adesso tocca a quelli che vengono ammirati,
  ospitati nei musei, guardati come lo stile italiano ...la moda
  è arte, Armani fa arte...
     Non risulta che nessuno ambisca a scrivere libri su Romeo
  Simi de Burgis, su Piercamillo Davigo e su altri illustri
  magistrati che stanno cercando di dimostrare
 
                              Pag.3
 
  il lato criminale di Armani, Krizia, Ferrè... non grandi.
  Corrotti.
     Il processo oggi agli uomini che ho detto, dovunque
  ammirati, da noi processati, viene fatto a Milano.
     No, amici della mafia sarete voi, voi che usate sistemi
  violenti contro le persone che hanno fatto e hanno detto cose
  importanti.  Bisogna dimostrare non che Armani, Krizia, Ferrè,
  gli altri hanno pagato la finanza, quindi sono stati concussi.
  Ma no!  Che sono andati a cercare loro i finanzieri per
  corromperli, che sono corrotti.  Invece che pensare alle cose
  che dovevano fare, bisogna immaginare Armari, Krizia, Ferrè,
  Versace, Etro che andavano a cercare i finanzieri: vieni che
  ti do i soldi io, ti corrompo io.  No questo non è stato.  Ma
  questa è la tesi di Piercamillo Davigo.
     Annunciavo ieri documenti importanti, che meriteranno
  molta attenzione da parte vostra e da parte mia.  Documenti che
  dimostrano la complicità storica fra magistrati e magistrati,
  che si proteggono e l'impunità che essi hanno garantito a se
  stessi ed ai politici corrotti, in tal modo favorendo la
  mafia.  Questo ha fatto, e qui pubblicamente lo denuncia,
  Piercamillo Davigo che oggi è pubblico ministero di un
  processo in cui il giudice è Romeo Simi de Burgis.
     Il presidente del tribunale avrà di fronte il pubblico
  ministero che lo accusò di corruzione.  E all'epoca, erano gli
  anni ottanta, essendo giudici, amici della stessa casta,
  decise di archiviare tutto.
     Quando Davigo chiederà di condannare Armani, Krizia,
  Ferrè, eccetera come potrà dirgli di no il giudice che fu
  aiutato da lui.
  (Trasmissione del 30 settembre 1995):
     Romeo Simi de Burgis, di cui ieri parlavamo, fu
  indagato per corruzione, per connivenze e complicità con la
  mafia.  Il suo accusatore era Piercamillo Davigo.  Non è da
  pensare che chi ha fatto l'accusa si convinca così rapidamente
  che l'accusato è innocente da diventare amico e addirittura da
  trovarsi in tribunale con lui come avviene adesso nei processi
  Enimont e nei processi della moda, a essere pubblica accusa
  con giudice, giudice quello che fu giudicato, quello che fu
  accusato e la cui responsabilità deve rimanere ben ferma nella
  mente di chi lo accusò allora essendo pubblico ministero
  ovvero Davigo.
     Questo singolare meccanismo di rapporti che oggi ribalta,
  rimette la figura dell'accusato addirittura al posto di quella
  di giudice, non può aver mutato l'animo di Davigo che in tempi
  lontani evidentemente non aveva la forza di reagire al comune
  andazzo che era quello di tentare di insabbiare, soprattutto
  le cose che riguardavano magistrati...
     Con l'aggravante dell'attribuzione di fatti
  determinati.
     In 29 e 30 settembre 1995 (foro della persona offesa).
  Querele presentate il giorno 14 e 31 ottobre 1995;
       il citato pubblico ministero imputava inoltre il
  deputato Sgarbi, in concorso con il signor Giorgio Gori, "del
  delitto previsto e punito dagli articoli 110 e 595, primo,
  secondo e terzo comma, del codice penale, nonché articolo 30,
  primo, quarto e quinto comma, della legge 6 agosto 1990, n.
  223, nonché articoli 13 e 21 della legge 8 febbraio 1948, n.
  47", perché, in concorso tra loro, offendevano l'onore e la
  reputazione del dottor Piercamillo Davigo, sostituto
  procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario di
  Milano, nell'ambito di trasmissione televisiva a diffusione
  nazionale denominata  Sgarbi quotidiani,  andata in onda
  il giorno 30 ottobre 1995 (con replica nella notte tra il 30
  ed il 31 ottobre 1995), sulla rete televisiva  Canale 5,
  accusando falsamente il magistrato di aver "insabbiato",
  quale incaricato delle indagini contro il dottor Romeo Simi de
  Burgis, tali indagini relative ad accuse di corruzione contro
  quest'ultimo da parte del "pentito attendibile" Angelo
  Epaminonda, archiviando il caso dopo essere stato a cena con
  il Simi de Burgis medesimo, il quale, a sua volta, sarebbe
  stato a cena con Angelo Epaminonda, nonché ed ancora accusando
  il dottor Davigo di non aver adempiuto, in tal modo, ai propri
  doveri, così intimandolo pubblicamente a provvedere alla
  riapertura del processo
 
                              Pag.4
 
  altrimenti lo avrebbe denunciato per "collusione con la mafia,
  per concorso in associazione mafiosa", ammonimento,
  quest'ultimo, correlato dal conduttore televisivo a precedenti
  querele proposte contro di lui dal dottor Davigo nonostante la
  "lampante verità" delle cose dette in trasmissione.
  Commettendo il fatto lo Sgarbi quale conduttore della
  trasmissione  Sgarbi quotidiani,  il Gori quale persona
  delegata dal concessionario televisivo privato al controllo
  della suddetta trasmissione, peraltro replicata nella medesima
  giornata.
     Con l'aggravante dell'attribuzione di fatti
  determinati;
       d)  che, prima dell'udienza preliminare, il
  difensore dell'onorevole Sgarbi depositava una memoria
  difensiva nella quale, tra l'altro, invocava la tutela  ex
  articolo 68, primo comma, della Costituzione, chiedendo
  pronuncia ai sensi dell'articolo 125 del codice di procedura
  penale per il disposto dell'articolo 2, numero 3, del
  decreto-legge 12 marzo 1996, n. 116 e, in subordine,
  trasmissione degli atti alla Camera dei deputati a mente
  dell'articolo 2, quarto comma, del decreto-legge n. 116 sopra
  menzionato;
       e)  che il GIP del tribunale di Brescia, respinta
  l'istanza principale, rimetteva gli atti alla Camera dei
  deputati per le determinazioni di competenza;
       f)  che nella seduta del 3 ottobre 1996 la Giunta
  per le autorizzazioni a procedere, dopo ampia e approfondita
  discussione, riteneva che i fatti addebitati all'onorevole
  Sgarbi non potessero godere della tutela costituzionale  ex
  articolo 68.  Sorreggono tale convincimento le sintetiche
  ragioni che seguono.
     1.  Il contesto giuridico e fattuale nel quale l'onorevole
  Sgarbi ha pronunciato le frasi oggetto della querela, in una
  con la natura e qualità della terminologia usata, è tale da
  escludere l'operatività delle quarentigie invocate.
     E' proprio la sinergia concorsuale di tale complesso
  contesto che fonda siffatta convinzione.  Si pensi, ad esempio,
  al messaggio di certo non subliminale della raffigurazione che
  si pone a titolazione muta, ma proprio perché tale più
  eloquente e penetrante, dei due maiali, come dire, "togati" e
  con le "attrezzature" e conseguenze di macellai.  Si pensi al
  prestigio e consapevolezza dell'onorevole Sgarbi, del quale
  non si può non apprezzare la cultura e il dominio dei mezzi
  espressivi e concettuali.
     Si ponga, infine, mente al sapiente uso spettacolare:
  della presunta complicità tra magistrato e magistrato per
  scagliare l'accusa di "in tal modo favorendo la mafia " e
  "...di insabbiare soprattutto le cose che riguardano i
  magistrati", che trova il suo apice effettuale nella qualifica
  di "corrotto", così assolutizzata con recisa e secca
  affermazione.
     2.  Tutto questo induce a ritenere che non sempre e
  comunque il deputato possa godere dell'immunità concessagli
  dalla suprema legge statuale e dalle norme ordinarie
  applicative, poiché l'essere onorevole deputato della
  Repubblica comporta anche dei doveri ai quali non è dato
  sottrarsi quando, come è del caso - ed è quel che più conta -
  non si possa in alcuna maniera ricondurre l'attività e le
  espressioni esplicative della stessa al mandato parlamentare
  né in modo tipico e neppure atipico, intendendosi per queste
  ultime quelle manifestazioni "divulgative" di cui al numero 3
  dell'articolo 2 del decreto-legge reiterato col numero 466 del
  6 settembre 1996, per quanto lata e permissiva possa esserne
  la interpretazione.
                                   Ennio PARRELLI,  Relatore.
 
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