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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XII Legislatura

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DDL0002-0002
Progetto di legge Camera n. 2 - testo presentato - (DDL12-2)
(suddiviso in 12 Unità Documento)
Unità Documento n.2 (che inizia a pag.1 dello stampato)
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...C2.
RELAZIONE
ZZDDL ZZDDLC ZZNONAV ZZDDLC2 ZZ12 ZZRL ZZPR
    Onorevoli Deputati! -- I sottoscrittori della
  presente proposta ritengono che, in un momento politico come
  quello attuale in cui è d'obbligo ripensare gli strumenti
  della rappresentanza democratica, sia indispensabile ripensare
  anche gli istituti della democrazia sindacale ed industriale.
  Non può, infatti, esserci democrazia nel sistema politico
  senza democrazia nella rappresentanza di interessi e, in
  particolare, nella rappresentanza sindacale; non può esserci
  democrazia nel Paese, senza democrazia all'interno dei luoghi
  di lavoro.
    L'attuale assetto normativo è largamente insoddisfacente:
  nei decenni trascorsi dall'introduzione nella nostra
  Costituzione del principio di democraticità interna alle
  associazioni sindacali (articolo
  39), e segnatamente nell'ultimo quindicennio, si è aperta e
  approfondita la contraddizione tra influenza di fatto e di
  diritto dell'azione sindacale sull'insieme dei lavoratori
  subordinati, da un lato, e, dall'altro, carenza, non solo di
  diritto ma anche di prassi, di strumenti idonei a misurare il
  loro consenso ai metodi e ai contenuti di quella azione.
    Infatti, se in epoche precedenti la carenza di norme legali
  era supplita da prassi idonee a verificare nei fatti quel
  consenso, queste prassi sono progressivamente venute meno
  proprio mentre, parallelamente, un crescente numero di norme
  di legge ha attribuito alla contrattazione collettiva il
  potere di derogare agli  standard  di trattamento ivi
  previsti (ad esempio,
 
                               Pag. 2
 
  si veda l'articolo 5 della legge 9 dicembre 1977, n.
  903, in tema di lavoro notturno delle donne).  Inoltre numerose
  norme di legge o contrattuali - soprattutto, ma non solo,
  nella gestione dei problemi particolarmente delicati delle
  crisi d'impresa - hanno subordinato l'esercizio di poteri del
  datore di lavoro alla consultazione delle organizzazioni
  sindacali (significativi esempi sono nella legge 23 luglio
  1991, n. 223) o al loro consenso (per esempio, i cosiddetti
  "contratti di solidarietà" di cui all'articolo 2 della legge
  19 dicembre 1984, n. 863, di conversione del decretolegge 30
  ottobre 1984, n. 726).  Infine, ma non certo in ordine di
  importanza, va ricordata la prassi degli accordi tripartiti di
  concertazione con i quali le grandi confederazioni sindacali
  storiche, in rappresentanza dei lavoratori, concertano con il
  Governo e con gli imprenditori le grandi linee della politica
  economica e dispongono dell'intero assetto - nella struttura e
  nei contenuti - del sistema contrattuale.
    Dunque, di fronte a questa espansione dell'influenza
  sindacale sulle condizioni di vita e di lavoro di tutti i
  lavoratori, iscritti e non iscritti, il venir meno delle
  prassi sopra ricordate rende improcrastinabile un intervento
  legislativo che consenta la verifica del consenso dei
  rapprentati all'operato dei rappresentanti.  Senza la
  possibilità reale di questa verifica, infatti, ogni discorso
  di democrazia sindacale è scritto sull'acqua.
    E' fermo convincimento dei sottoscrittori di questa
  proposta che non possa pensarsi di affrontare seriamente il
  problema rinviandone nuovamente la soluzione alle prassi
  intersindacali o, anche, a norme contrattuali: infatti solo la
  legge ha la forza di imporsi, in primo luogo, al datore di
  lavoro non tenuto all'applicazione della contrattazione
  collettiva di diritto comune e, in secondo luogo, a
  quell'organizzazione sindacale che per ragioni strategiche o
  contingenti abbia interesse a sottrarsi alla verifica del
  consenso.  L'esperienza di questi ultimi anni dimostra
  ampiamente questo assunto.
    I contenuti della proposta ruotano intorno ai seguenti
  temi:
      a)  centralità del consiglio unitario elettivo e
  tutela della libertà di associazione sindacale nei luoghi di
  lavoro;
      b)  necessaria ratifica da parte dei rappresentati
  dell'operato dei rappresentanti;
      c)  trasformazione del requisito della maggiore
  rappresentatività in quello della rappresentatività
  effettiva;
      d)  unificazione delle regole della rappresentanza tra
  lavoro privato e pubblico.
    L'articolo 1 della proposta, modificando l'articolo 19
  della legge 20 maggio 1970, n. 300, fa del consiglio unitario
  elettivo il perno della rappresentanza dei lavoratori sui
  luoghi di lavoro.  L'iniziativa della sua costituzione può
  essere presa da un gruppo di lavoratori la cui consistenza
  numerica è tenuta bassa per non porre ostacoli formali alla
  sua proposizione; tale potere di iniziativa è anche attribuito
  a soggetti sindacali esterni, per far fronte all'ipotesi che
  il timore di rappresaglie impedisca ai lavoratori di
  assumerla.  I limiti numerici dell'unità produttiva sono quelli
  dello Statuto dei lavoratori, anche per le imprese
  agricole.
    L'articolo 2 propone regole per una soluzione rapida ed
  efficace del contenzioso sulle elezioni, utilizzando lo
  strumento dell'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori (legge
  n. 300 del 1970).
    L'articolo 3 definisce i poteri e i compiti del consiglio:
  ad esso spetta gran parte dei diritti sindacali e il potere di
  stipulare contratti aziendali con efficacia generale.
    L'articolo 4 prevede la formazione di consigli nelle unità
  produttive inferiori, completando l'estensione dello Statuto
  dei lavoratori alle piccole unità produttive già iniziata, ma
  limitatamente ai licenziamenti, con la legge 11 maggio 1990,
  n. 108.  In tal modo si sana una antica ingiustizia e, forse,
  una illegittimità costituzionale - quella della inesistenza di
  una tutela dell'attività sindacale nelle imprese minori -
  adattando la normativa di principio
 
                               Pag. 3
 
  alla diversa realtà.  Deve tenersi presente che la
  soluzione è mutuata dalla contrattazione collettiva, di cui ne
  rafforza ed estende i contenuti.
    Se, come si diceva innanzi, il perno dell'autotutela
  sindacale nei luoghi di lavoro è posto nei consigli,
  altrettanto essenziale è parso salvaguardare la libertà di
  associazione.  Innanzi tutto questo è un obbligo costituzionale
  derivante dall'articolo 39 della Costituzione; ma è anche una
  scelta opportuna per assicurare dinamismo al canale della
  rappresentanza consiliare: solo l'esistenza di associazioni
  libere può dare le garanzie necessarie per il ricambio degli
  eletti.
    L'opportunità della scelta è apprezzabile anche in una
  diversa prospettiva, non certo secondaria: l'evoluzione del
  sistema produttivo ha prodotto la creazione o il rafforzamento
  di aree professionali i cui interessi sono riconducibili
  all'interno di un'azione unitaria solo attraverso una
  difficile azione politica.  L'esistente assetto giuridico con
  le posizioni di privilegio attribuite alle confederazioni
  maggiormente rappresentative, lungi dal costituire strumento
  idoneo a favorire questo processo di riunificazione, lo rende
  difficoltoso in quanto ciascuno di questi gruppi, essendo
  ostacolato nel suo stesso diritto all'esistenza come gruppo
  organizzato, tende a trovare la propria identità nel conflitto
  con le grandi confederazioni storiche.  D'altro canto, queste
  confederazioni, sentendosi minacciate dall'esistenza dei nuovi
  soggetti sindacali, si arroccano nei propri privilegi.
    Per spezzare un simile circolo vizioso è necessario sul
  piano della legge garantire a tutte le associazioni il diritto
  ad agire all'interno dei luoghi di lavoro, lasciando il
  necessario spazio ad un'azione tutta politica di
  ricomposizione.
    Per questi motivi, l'articolo 5 della presente proposta,
  sviluppando i princìpi posti dall'articolo 39 della
  Costituzione e dall'articolo 14 della legge n. 300 del 1970,
  attribuisce alle associazioni sindacali una parte (minore,
  rispetto a quella spettante al consiglio) dei diritti
  sindacali.  Sono favorite le associazioni che abbiano una
  effettiva rappresentatività sull'insieme dei lavoratori della
  unità produttiva, ma anche le associazioni che siano
  sufficientemente rappresentative di un particolare gruppo
  professionale o le associazioni aderenti alle grandi
  organizzazioni godono di alcuni diritti che non rappresentano
  un particolare costo per il datore di lavoro.
    Garantita, nei modi precisati nel precedente paragrafo, una
  corretta formazione delle rappresentanze, occorre garantire i
  rappresentati da eventuali - e sempre possibili - abusi del
  mandato conferito.  Questo problema viene risolto dal comma 5
  dell'articolo 3 e dall'articolo 7 che subordinano l'efficacia
  dei contratti collettivi conclusi rispettivamente, dal
  consiglio a livello aziendale e dalle organizzazioni sindacali
  agli altri livelli, all'approvazione da parte degli
  interessati mediante  referendum.  La disciplina è,
  ovviamente, diversa a seconda del livello al quale viene
  stipulato l'accordo.
    Come si ricordava sopra numerosissime norme di legge
  attribuiscono al sindacato maggiormente rappresentativo poteri
  e diritti indipendenti da una verifica del consenso
  effettivamente ottenuto tra i lavoratori interessati.  Ciò è
  dovuto non solo all'indeterminatezza del requisito della
  maggiore rappresentatività, ma anche al fatto che, di regola,
  tale requisito è costruito su una platea di lavoratori più
  ampia di quella destinataria degli effetti giuridici del
  potere attribuito dalla norma (per esempio l'articolo 2 della
  citata legge n. 863 del 1984 attribuisce il potere di
  stipulare contratti di solidarietà i cui effetti - ovviamente
  - ricadono sui lavoratori di una determinata unità produttiva,
  ai sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente
  rappresentative sul piano nazionale; tale requisito, dunque,
  non è desunto dai lavoratori destinatari degli effetti
  giuridici del contratto, ma neanche dai lavoratori della
  categoria cui appartengono questi ultimi, bensì da tutti i
  lavoratori subordinati operanti in Italia).
    Per ovviare a questo l'articolo 9 della proposta dispone la
  sostituzione, in ogni norma ove ricorra, del requisito della
 
                               Pag. 4
 
  maggiore rappresentatività con quello della rappresentatività
  effettiva misurata, sulla base di indici esattamente
  quantificabili (in alternativa, una percentuale di iscritti
  sul totale dei lavoratori sindacalizzati oppure una
  percentuale di voti ottenuti sul totale dei voti espressi
  nelle elezioni per i consigli), sui lavoratori delle unità
  produttive nelle quali devono prodursi gli effetti giuridici
  dell'attività prevista e disciplinata dalle norme in
  questione.
    Corollario di questa impostazione è l'abrogazione
  dell'articolo 47 del decreto legislativo
  3 febbraio 1993, n. 29, che attribuisce alle
  confederazioni maggiormente rappresentative il potere di
  concordare i requisiti della maggiore rappresentatività ai
  fini della contrattazione collettiva del lavoro pubblico.
    Infine, l'articolo 10 della proposta, definendo l'unità
  produttiva anche con riferimento al decreto legislativo n. 29
  del 1993, unifica le norme sulla rappresentanza nel lavoro
  privato e pubblico, nella convinzione che, in materia, ogni
  distinzione sia ingiustificata.
 
DATA=930624 FASCID=DDL12-2 TIPOSTA=DDL LEGISL=12 NCOMM= SEDE=PR NSTA=0002 TOTPAG=0012 TOTDOC=0012 NDOC=0002 TIPDOC=L DOCTIT=0000 COMM= FRL PAGINIZ=0001 RIGINIZ=010 PAGFIN=0004 RIGFIN=021 UPAG=NO PAGEIN=1 PAGEFIN=4 SORTRES= SORTDDL=000200 00 FASCIDC=12DDL0002 SORTNAV=0000200 000 00000 ZZDDLC2 NDOC0002 TIPDOCL DOCTIT0002 NDOC0002
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