| le due sentenze citate in epigrafe hanno affermato, seppur con
diverse soluzioni pratiche in relazione alle diverse fattispecie, che
nei contratti di appalto per l' esecuzione di opere pubbliche in cui
sia intervenuta una variante con una maggiorazione di lavori
superiore al 20% bisogna far tempo, ai fini della revisione dei
prezzi, dalla data di formulazione dell' offerta presentata in
funzione del patto aggiuntivo. a commento di queste sentenze l' a.
analizza gli artt. 343 e 344 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. f, e
l' art. 21 del regolamento per l' esecuzione di opere pubbliche, 25
maggio 1865 n. 350 e l' art. 14 del capitolato generale per le opere
di competenza del ministero dei lavori pubblici. di fronte alla
giurisprudenza oscillante nel riconoscere autonomia ai patti
aggiuntivi di un contratto di appalto effettuati in corso d' opera,
egli ritiene che il problema principale consista nel definire la
natura dei c.d. patti aggiuntivi e i loro rapporti con il contratto
originario. dall' esame delle suddette norme e dell' istituto dei
'negozi connessi', l' a. deduce l' esistenza di tre principi: a) il
nuovo contratto in tanto e' ammissibile, nella sua assoluta
atipicita', in quanto sia una continuazione necessaria del primo; b)
la limitata autonomia delle parti in sede di patto aggiuntivo
presuppone l' esistenza di una presunzione iuris tantum che riguarda
il perpetuarsi della originaria disciplina contrattuale sul nuovo
contratto o patto aggiuntivo anche per quanto riguarda la data di
decorrenza per la revisione dei prezzi; c) di conseguenza, in
presenza della presunzione, la prova dell' esistenza di patti
diversi, che spostino l' inizio della decorrenza del tempo ai
suddetti fini, dev' esser data da chi li invoca a suo favore e,
quindi, nelle fattispecie esaminate, dall' amministrazione.
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