| l' a. lamenta la scarsa attenzione che, allo stato attuale della
cultura giuridica, lo studioso e l' operatore del diritto rivolgono
al fenomeno della disapplicazione di vaste zone del sistema
giurudico. secondo l' a. il giurista deve, affinche' il suo discorso
non si svolga al di fuori della realta', tener conto del momento
attuativo del diritto. da qui l' importanza dello studio della
giurisprudenza. tale studio, per l' a., si compone di 2 aspetti: lo
studio dell' attivita' dei giudici e lo studio dei prodotti dell'
attivita' giudiziale. detti aspetti, benche' complementari, vanno
tenuti distinti sia per l' oggetto che per il metodo. l' a. ritiene,
anzi, logicamente prioritario lo studio che si occupa direttamente
della produzione giurisprudenziale sostenendo che solo quando si
coglie il reale problema posto dalla fattispecie decisa e la
soluzione data dalla decisione, si offre allo studio sull' attivita'
giudiziale un dato sicuro. per l' a. va, quindi, approfondito il
discorso sull' interpretazione e sui mezzi di informazione delle
pronunzie giudiziali. a tal riguardo l' a. rileva che la dottrina e
l' universita' italiana sono permeate da una pericolosa tendenza ad
astrarre dal caso concreto. tale posizione, ritiene l' a., influisce
negativamente sull' attivita' dei giudici i quali sono indotti a
redigere sentenze prolisse e fumose, mentre la legge imporrebbe il
dovere di concisione e chiarezza. l' a. auspica, quindi, che dall'
interno della giurisprudenza venga un impulso rivolto all'
applicazione del metodo casistico-problematico, noto nei sistemi di
"common law", che parte dal caso deciso per porre e risolvere i
problemi ad esso inerenti. con tale metodo, conclude l' a., si riduce
notevolmente il rischio di risolvere il contributo della dottrina in
un giuoco nominalistico fine a se stesso e si realizza meglio il
compito del giurista.
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