| Onorevoli Deputati! - Attualmente, nel panorama
scolastico italiano, alla formazione professionale di base e
di primo livello non è riconosciuto quel valore che riteniamo
meriti, dal momento che essa mediante un biennio formativo
insegna ai giovani un mestiere e li prepara al mondo del
lavoro.
La Costituzione italiana all'articolo 1 recita: "L'Italia
è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro". Noi siamo
profondamente convinti di questa premessa introduttiva agli
articoli che raccolgono i princìpi fondamentali della nostra
Costituzione e intendiamo la parola "lavoro" nel senso più
ampio: non ristretto ad indicare le attività puramente
manuali, né contenuto esclusivamente all'interno delle pur
giuste finalità produttive ed economiche. Riconosciamo
pertanto doveroso l'apprezzamento espresso per una poesia, un
racconto, un romanzo, come "lavoro" e risultato creativo della
mente, e dell'animo della persona manifestato mediante le
parole e gli scritti. Valutiamo però come "fatti culturali"
anche il fare e l'aggiustare un vestito, un paio di scarpe,
una casa, una porta, una finestra, una sedia, un pezzo
meccanico, un impianto elettrico o idraulico e così via, come
l'ottenere prodotti dalle diverse attività manuali dell'uomo:
in agricoltura come nell'artigianato, nell'industria, nel
commercio e nei servizi.
Essi sono sempre il frutto e la traccia di una evoluzione
culturale superiore ed indicano "manufatti" o "fatti" espressi
dalla mente e dall'animo umano mediante un uso intelligente
delle mani o delle proprie
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relazioni, impreziositi talvolta dalla fatica e dal
sudore.
Non è giusto espropriare gli operatori prevalentemente
teorico-intellettuali del diritto di partecipare con gli altri
loro simili alla dignità del lavoro, ma non è parimenti giusto
escludere gli operatori prevalentemente tecnico-manuali dal
diritto di partecipare con gli altri, esseri umani come loro,
alla dignità della cultura.
Di fatto la formazione professionale di base, che insegna
un lavoro manuale, in Italia è considerata una "scuola di
serie C" e gli attestati rilasciati non sono riconosciuti come
curriculum scolastico, come attestato culturale.
Riteniamo che questa sia una ingiustizia e l'indice di una
forzatura, poiché non viene rispettato il nostro processo e
tempo personale di crescita, il nostro bisogno di sviluppare
la nostra istruzione con gradualità, assecondando la genialità
particolare che ci è stata data. Genialità che comporta dei
contenuti e una metodologia che privilegiano la cultura del
fare e l'uso delle mani in aiuto alla nostra mente, secondo il
modello esemplare (anche genetico) dei nostri genitori, i
quali provengono nella quasi totalità dal mondo del lavoro
tecnico-manuale ed in esso hanno operato ed operano con
impegno e dignità non certo inferiori ad altri e dando un
contributo produttivo non secondario alla realtà economica,
sociale, politica e culturale della collettività, anche
trasmettendo in eredità a noi, loro figli, i loro saperi e le
loro attitudini tecnico-manuali.
La pari dignità sociale di tutti i cittadini non può
essere soltanto dichiarata nei princìpi fondamentali della
Costituzione, ma dev'essere anzitutto pensata e sentita nella
quotidianità e resa effettiva togliendo gli ostacoli che si
sono strutturati nell'organizzazione della società e in questo
caso della scuola.
Fare questa operazione politica compete a tutti i
cittadini e in particolare ai responsabili della cosa pubblica
nella concretezza dei loro interventi legislativi ed
esecutivi, attuando l'enunciato della carta costituzionale:
"E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale
del Paese" (articolo 3, comma 2).
Nel caso specifico l'ostacolo è prevalentemente di ordine
sociale, per il tipo di organizzazione e di subordinazione che
viene dato al sapere, ma anche di ordine economico a motivo
della necessità che abbiamo di conseguire prima di altri
nostri compagni più avvantaggiati, un lavoro remunerativo,
senza escludere l'eventualità di riprendere in futuro gli
studi, abbinandoli alla stessa occupazione lavorativa.
Pertanto gli allievi dei corsi biennali di formazione
professionale di base, assieme ai genitori e familiari e a
quanti si riconoscono in questa posizione, inoltrano al
Parlamento la presente proposta di legge di iniziativa
popolare, con la quale si stabilisce che i due anni della
formazione professionale di base dei centri di formazione
professionale che operano attraverso le regioni vengano
riconosciuti come anni validi per soddisfare il diritto-dovere
all'istruzione fino all'età di 16 anni.
Questo consentirà a tutti i giovani di formarsi anche
attraverso un'attività di studio e un'applicazione che danno
maggior spazio alla manualità ma che coltivano ed educano
nello stesso tempo alla comunicazione scritta ed orale, alla
conoscenza e all'uso dei linguaggi grafici e alla loro
interpretazione, all'esercizio continuo del calcolo, allo
studio e alle conoscenze tecnologiche e fisiche, alla
conoscenza e all'uso delle strumentazioni di misura, alla
conoscenza dei materiali e alla loro trasformazione ed
elaborazione mediante l'utilizzo di strumenti, apparecchiature
e macchine appropriate secondo i diversi settori formativi ed
operativi.
Il riconoscimento dei contenuti e delle metodologie del
biennio della formazione professionale di base ci consentirà
di assecondare le nostre attitudini al lavoro manuale e di non
veder sottovalutati il nostro impegno, le nostre conoscenze e
le nostre capacità ed inoltre permetterà,
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a quanti di noi vorranno successivamente continuare gli
studi, di iscriversi direttamente ad un ciclo superiore.
E' da considerarsi superata ogni discriminazione e
subordinazione gerarchica fra il sapere filosofico,
letterario, concettuale e il sapere espresso nel fare
manualmente e nel produrre beni e strumenti. Discriminazioni e
subordinazioni di questo tipo sono generatrici di una società
non democratica ma, nella migliore delle ipotesi, divisa in
dotti, predestinati ad essere detentori del potere, gli
aristocratici, e in non dotti, predestinati a produrre beni e
strumenti, i sudditi.
Nella presente proposta di legge usiamo intenzionalmente
l'espressione "diritto-dovere all'istruzione" e non "obbligo
scolastico" perché riteniamo che la scuola e l'istruzione,
nell'ottica di una sana modernità e di un autentico progresso
umano, debbano concorrere a promuovere concretamente anche il
principio della responsabilità, basando anzitutto su di esso
lo stesso avvenimento educativo. Superando cioè l'aspetto
tradizionale impositivo dell'istituzione scuola e degli
operatori ad essa addetti, cui tende a corrispondere un
atteggiamento abitualmente passivo e talora reattivo ed
oppositorio di noi destinatari dell'intervento.
Da un rapporto autoritario, a volte oppressivo o anonimo,
non siamo aiutati a percepirci e a comportarci come attori
responsabili, né come fruitori di un servizio di cui abbiamo
bisogno e pertanto ci spetta per diritto al fine di essere
aiutati, con rigore ma nella consapevolezza e
nell'accettazione, a raggiungere il massimo della libertà
mediante l'educazione all'impegno e alla responsabilità
personale nelle relazioni: coscienza dei nostri diritti,
consapevolezza e capacità di adempiere i nostri doveri, anche
pagando di persona.
In questo contesto il princìpio di responsabilità, come
luogo ove si riconoscono e si onorano i diritti e i doveri di
tutti e di ciascuno, coinvolge anzitutto la scuola istituzione
e i suoi operatori, i quali, con il loro lavoro e la loro
opera, debbono contribuire a creare le condizioni perché,
soprattutto nell'ambito dell'istruzione che ogni cittadino ha
il diritto-dovere di avere, non solo sia soddisfatto
formalmente tale diritto-dovere (dieci anni di frequenza), ma
si conseguano anche, per quanto possibile, i risultati
formativi positivi degli aventi diritto all'istruzione,
rimuovendo gli ostacoli vari che si possono presentare o che
possono intervenire in ordine a ciò.
Per cui nel definire programmi, contenuti e metodologie
non si possono predeterminare mete ed obiettivi in modo
rigido, tali da risultare carenti per le capacità e le
esigenze di alcuni, penalizzanti per difetto, o tali da
risultare ardui e irraggiungibili da altri, penalizzanti per
eccesso.
A tale scopo all'interno della scuola deve essere favorita
ogni forma di partecipazione che consenta di tradurre, con
ampia e responsabile discrezionalità, nella realtà concreta
delle singole strutture formative e, se necessario, dei
singoli soggetti, le mete e i risultati formativi
raggiungibili, fra quelli che, con grande ampiezza e
altrettanta flessibilità, sono indicati nelle
programmazioni.
Ai giovani deve essere insegnato senza veli e reticenze
che, specie negli anni di istruzione ai quali tutti hanno
diritto, non si possono esigere uguali prestazioni da soggetti
con potenzialità ricettive, operative obiettivamente diverse,
a prescindere da valutazioni comportamentali che non sfuggono
al moralismo se pretendono di giudicare le intenzioni e non si
fanno carico della complessità delle situazioni soggettive dei
singoli, da avvicinare ed interpretare senza pregiudizi e con
l'apporto professionale di operatori psico-pedagogici che
dovrebbero essere abitualmente presenti nella struttura
formativa a supporto, specialmente, del personale docente e di
tutti gli operatori.
Un obiettivo però può e deve essere perseguito con
particolare determinazione: far sì che ogni giovane, durante
il suo cammino formativo e all'interno di esso, apprenda a
stimare e ad amare la conoscenza e il sapere, sia come cultura
del conoscere teorico che come cultura del fare, senza
discriminazione e disparità di valutazione, a prescindere
dalle proprie attitudini e dalle proprie scelte.
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E' inevitabile che la scuola (aula, laboratorio, bottega,
azienda) sia luogo di lavoro e perciò anche di fatica, ma non
si deve più accettare e consentire che sia luogo e motivo di
umiliazione e frustrazione, di emarginazione tacita o di
discriminazione di fatto. La fase di apprendimento e di
formazione deve segnare un momento bello e alto della nostra
crescita giovanile e, se impostata nel rispetto della natura e
delle attitudini, lascerà nell'animo di tutti i giovani un
forte richiamo a ritornare allo studio, alla conoscenza, al
sapere, alla ricerca, alla cultura nelle molteplici occasioni
di aggiornamento e formazione che stanno diventando e
diventeranno sempre più frequenti, necessarie e permanenti
nella società del futuro.
Siamo consapevoli delle difficoltà giuridiche ed anche,
forse, istituzionali che possono intervenire nell'obiettivo di
armonizzare istruzione come cultura del sapere (Ministero
della pubblica istruzione) e istruzione come cultura del fare
(Ministero del lavoro e della previdenza sociale e regioni),
ma siamo convinti che queste due istanze di fondo debbano
essere condotte a sintesi unitaria e armonica anche se
l'attuale ordinamento costituzionale prevede referenti
istituzionali diversi. Nulla vieta che si intervenga, se
necessario, anche a livello di riforma costituzionale affinché
anche lo Stato, oltre la società civile che di fatto lo ha
preceduto, dia pari e pieno riconoscimento di servizio
pubblico all'attività e all'impegno che gli operatori della
formazione professionale svolgono a favore della collettività,
senza discriminarli perché inquadrati all'interno di strutture
diverse.
Pensiamo che non sfugga a nessuno il fenomeno già molto
grave e tanto elevato della dispersione scolastica e degli
abbandoni, che debbono peraltro essere identificati,
controllati e, per quanto possibile, recuperati con
determinazione ed efficacia, e riteniamo che il riconoscimento
del biennio di formazione professionale di base sia un valido
mezzo per porre rimedio a questo male, mentre il mancato
riconoscimento lo aggraverebbe, con il conseguente seguito di
emarginazione, frustrazione, devianza, degrado, violenza e
insicurezza sociale.
Non c'è operatore sociale, tra i tanti che da anni sono
impegnati a lavorare nel campo sempre più ampio del disagio
giovanile, che non sia esperto e testimone di quanto, nel bene
e nel male, possa la scuola per la crescita dei giovani,
mediante il rapporto di istruzione e formazione che essa ha il
compito di curare e grazie alla facoltà e potenzialità di
controllo sociale, preventivo e positivo, che può
esercitare.
La scuola non può ignorare il carico già grave delle
tensioni sociali presenti nel nostro Paese, la complessità e
la rapidità dei processi evolutivi che interessano le moderne
società. Deve pertanto essere riformata con tempestività e
flessibilità nel segno del realismo, della concretezza, della
proposta e del rispetto di tutte le doti e capacità presenti
nella personalità di ciascuno.
La proposta di legge si compone di 11 articoli, intesi a
consentire che venga riconosciuta nei fatti, ed in particolare
nella fase importantissima dell'istruzione e dell'educazione
di base e primaria dei giovani, la centralità del lavoro
umano, intellettuale e manuale.
Oltre alle ragioni molteplici espresse in premessa,
l'articolo 1 richiama gli articoli dei princìpi fondamentali
della Costituzione nei quali viene riconosciuta al lavoro una
dignità basilare per lo Stato repubblicano e la democrazia.
Per cui il medesimo articolo 1 e il successivo articolo 2
danno al contenuto dell'intera legge il valore di un
adempimento costituzionale atteso e dovuto.
L'articolo 3 dà spazio e concretezza al lavoro manuale
come saper fare con le mani, accanto al lavoro concettuale
come capacità di elaborare ed esprimere idee attraverso
processi di astrazione mentale, riconoscendo a questo
abbinamento dignità e validità culturale negli apprendimenti
basilari dei giovani, quelli cioè che essi hanno il
diritto-dovere di soddisfare nella società di oggi.
Sempre nell'articolo 3 si parla di diritto-dovere in base
al principio di libertà e di responsabilità di cui è stata
data ragione
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nella premessa, superando il concetto di obbligo.
Nell'articolo 4 sono indicati i referenti pubblici e
istituzionali del biennio dei corsi di formazione
professionale e di istruzione di base e viene indicata la
modalità del loro intervento di governo.
Nell'articolo 5 sono indicate le materie pratiche e
teoriche di insegnamento e le modalità da seguire per gli
organici di docenza e di non docenza.
All'articolo 6 vengono indicate le modalità di accesso al
biennio e all'articolo 7 si definisce il valore dell'attestato
finale.
Nell'articolo 8 si precisa il valore del biennio per
soddisfare il diritto-dovere all'istruzione di base, ma si
evidenzia, contestualmente e soprattutto, la necessità che il
diritto trovi una risposta piena e commisurata cosicché anche
il dovere possa essere adempiuto.
Nell'articolo 9 sono richiamate le norme in base alle
quali si devono svolgere gli esami finali, ma viene anche
presa in considerazione la possibilità di offrire ad un'utenza
più ampia, rispetto ai frequentanti, l'opportunità di
conseguire l'attestato di "licenza di istruzione di base"
mediante esame presso i centri di formazione professionale e
di istruzione di base in qualità di privatisti.
L'articolo 10 riafferma il diritto alla gratuità per i
frequentanti.
L'articolo 11 individua i referenti pubblici e
istituzionali erogatori dei finanziamenti e responsabili dei
controlli.
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