| l' a. afferma che i rapporti fra il proprietario e l' affittuario
della terra sono stati nei secoli regolati dal cosiddetto "capitolato
d' affittanza" dettato sempre dal proprietario e obbligatori per l'
affittuario, pena l' espulsione dalla terra. il rapporto fra i due
protagonisti interferisce nella produzione, quindi assume un valore
anche sociale di interesse generale. da cio' l' intervento dei
pubblici poteri nonche' di enti culturali e di sindacati per una
regolamentazione che vada oltre il diritto privato. l' a. sottolinea
che le clausole del capitolato di affittanza che maggiormente
incidono sull' organizzazione dell' impresa sono state sempre quelle
che riguardano il canone che l' affittuario deve pagare, la
conservazione dello stato di fertilita' del fondo, i miglioramenti
necessari e la durata del contratto. la legge 11 febbraio 1971, n. 11
sancisce la lunga durata per il contratto di affittanza agraria, la
libera iniziativa dell' affittuario in fatto di miglioramenti, un
sistema automatico e semplicissimo di determinazione della misura del
canone. la legge, osserva l' a., non si e' solo preoccupata di
ripristinare l' equilibrio tra i due contraenti, ma ha avuto anche di
mira la tutela del produttore, che e' il soggetto di maggior
interesse sociale. oggi, pero', afferma l' a., gli agrari e la destra
conservatrice sostengono che la legge deve essere cambiata e stanno
pressando per un nuovo progetto di legge sull' affitto delle terre
che nasconde intenzioni restauratrici rispetto alla legge del 1971.
si propone, infatti, una limitazione dell' iniziativa dell'
affittuario a proposito dei miglioramenti, un canone di affitto
proporzionale al valore fondiario e, infine, di fissare il canone in
una percentuale del prodotto lordo.
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