| l' a., premesso che diritto penale e criminologia si occupano della
stessa entita' definita dall' uno reato e dall' altra crimine, si
domanda se sia possibile formulare l' equazione reato uguale crimine;
in altri termini se tutti i reati siano crimini e se tutti i crimini
si esauriscano nei soli reati. quanto al primo punto del problema,
confutata l' affermazione secondo cui alcune fattispecie legali
(reati meramente politici, reati colposi, reati contravvenzionali)
sfuggono allo studio criminologico, l' a. supera l' obiezione in base
alla quale taluni comportamenti sono per alcune legislazioni leciti e
per altre incriminabili (obiezione che potrebbe mettere in crisi l'
equazione anzidetta), affermando che il solo fatto che un
comportamento costituisca reato per un ordinamento e fatto lecito per
un altro, determina la necessita' che questo comportamento sia
oggetto di studio da parte della criminologia. quanto al secondo
aspetto del problema, l' a. considera l' ostacolo posto all'
accettazione dell' equazione dal principio di legalita' e dalla
sussistenza di talune figure denominate "quasi reati", che sfuggono
alla incriminazione penale, ma sono oggetto di studio criminologico.
egli ritiene, tuttavia, che l' equazione reato uguale crimine vada
mantenuta, tenendo pero' conto che taluni comportamenti sono
indifferenti per il diritto penale e interessano invece il
criminologo, in quanto il diritto penale e' ispirato a una ratio di
garanzia del cittadino, che e' invece superflua in criminologia.
tirando le fila del discorso svolto, l' a. conclude ritenendo che,
pur nell' assoluta autonomia scientifica della criminologia, la
nozione di crimine-reato debba ricavarsi da una definizione di tipo
essenzialmente giuridico
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