| l' a., dopo essersi soffermato sui precedenti storico-legislativi del
segreto di stato, conduce un esame critico sugli artt. 342 e 352
codice procedura penale, che rivelano chiaramente la volonta' di
anteporre all' esigenza di giustizia la tutela dello stato, in quella
visione accentratrice e totalitaria propria del regime fascista. l'
attuale normativa, infatti, da un lato legittima l' idea di uno stato
che sacrifica indiscriminatamente gli interessi del cittadino, primo
fra tutti il diritto di difesa, dall' altro determina uno squilibrio
fra potere esecutivo e potere giudiziario a tutto vantaggio del
primo. inoltre tale disciplina si pone in contrasto con numerose
norme costituzionali (artt. 3, 24, 101, 104, 111, 112 della
costituzione) e con altre norme dell' ordinamento processuale (ad
esempio art. 351 codice procedura penale). il punto 63 dell' art. 2
della legge-delega al governo per l' emanazione del codice di
procedura penale (legge 3 aprile 1974, n. 108) non risolve, secondo
l' a., il problema, in quanto rimane immutato il potere discrezionale
dell' esecutivo nella valutazione dell' effettiva segretezza del
fatto, opposta al magistrato. tra le proposte avanzate per risolvere
il problema, l' a. ritiene che la piu' accettabile, seppure con
qualche riserva, sia quella che prevede l' obbligo di procedere a
porte chiuse all' escussione del teste chiamato a deporre,
assoggettando il giudice, le parti e gli ausiliari ad un rigoroso
segreto su quanto si e' svolto in aula.
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