| a parere dell' a., porsi il problema dell' ammissibilita' del terzo
"complice" dell' inadempimento contrattuale significa domandarsi se
il titolare di un diritto di credito avente fonte contrattuale, in
caso d' inadempimento, possa rivalersi, oltre che verso il debitore,
anche nei confronti del terzo che lo abbia indotto e facilitato a non
adempiere, concludendo un contratto incompatibile con il vincolo
precedente. l' a. compie l' indagine preposta attraverso il
rilevamento degli indici normativi rinvenibili non soltanto nell'
ambito del codice civile ma anche in altre branche, quale, ad
esempio, il diritto penale. egli inoltre utilizza anche l' esame
comparatistico, interessandosi delle esperienze francese, tedesca e
anglo americana. alcune conclusioni avanzate dall' a. sul tema sono:
innanzitutto, la configurabilita' concreta della fattispecie in esame
-di cui l' a. porta molteplici esempi-; la mancanza di sicuri indici
normativi che consentano di negare o affermare la tutela aquiliana
del creditore nei confronti del terzo "complice" nell' inadempimento
contrattuale; tuttavia l' esistenza di talune tendenze cui deve
essere necessariamente informata la soluzione del problema in esame.
tali tendenze possono riassumersi in quella volta a non intralciare i
traffici e in quella diretta a colpire, quando possibile, la mala
fede. per la prima tendenza, l' interesse collettivo, individuato
nell' esigenza di non determinare una restrizione dell' iniziativa
economica e in particolare della concorrenza (tutela del normale
svolgimento dei traffici), diventa criterio di valutazione dell'
ingiustizia del danno. inoltre, il "terzo complice" risponde soltanto
a titolo di dolo, fatta eccezione per la normale applicabilita' della
norma sull' ingiustificato arricchimento. altri criteri di
valutazione dell' ingiustizia del danno sono lo scopo che anima l'
agente e il rapporto esistente fra la condotta del terzo e l'
incidenza che essa determina sul rischio assunto dal creditore col
contratto.
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