| nel primo comma dell' art. 686 codice civile si dice che l'
alienazione fatta dal testatore della cosa legata revoca il legato
riguardo a cio' che e' stato alienato. questa regola, pero', rileva
l' a., si basa su di una presunzione semplice, che puo', quindi,
esser combattuta provandosi una diversa volonta' del testatore, come
del resto stabilisce il comma 3 dello stesso articolo. il problema
che sorge, prosegue l' a. una volta dimostrato che non c' e' stata
volonta' di revocare nell' avvenuta vendita dell' oggetto del legato,
e' quello di vedere in che modo possa continuare ad aver vita la
disposizione testamentaria, dal momento che la cosa legata non e'
piu' in proprieta' del testatore. secondo l' a., l' unico modo
possibile, affinche' la dimostrazione della mancata volonta' di
revoca possa spiegare il suo effetto, consiste nel valutare la
disposizione (che era originariamente un "legato di cosa del
testatore") quale "legato di cosa di un terzo" (art. 65, codice
civile). tale soluzione, conclude l' a., non contrasta con i principi
generali vigenti nel campo delle successioni. oggetto del legato,
infatti, puo' anche essere una cosa non esistente nell' asse
ereditario. per le validita' di un siffatto tipo di legato si
richiede soltanto che dal testatore si sappia che la cosa e' di un
terzo, e nell' ipotesi in oggetto il testatore non puo' non sapere
che la cosa non e' piu' sua ma del terzo al quale l' ha venduta.
nulla osta, quindi, a che si applichi in via analogica la
regolamentazione di cui all' art. 651 codice civile, al caso
esaminato.
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