| dopo aver chiarito che per l' ordinamento canonico nulla e' dovuto a
titolo di giustizia ai religiosi che, rientrando nel secolo,
abbandonano gli istituti, l' a. rileva che nell' ordinamento civile
il problema si pone indirettamente in quanto, afferma l' a., si
vorrebbe far passare l' attivita' degli istituti religiosi come
attivita' esplicata da una impresa, ed i rapporti dei singoli membri
col superiore, come rapporti di lavoro subordinato. tale tesi e'
respinta dalla giurisprudenza civile sulla base della specifica
configurazione degli istituti religiosi e deoi rapporti volontari dei
membri con l' istituto, percio' quando un membro di un istituto
abbandona la vita religiosa, non puo' valere in giudizio le sue
pretese per il lavoro svolto nell' ambito dell' istituto in favore di
terzi quando questa attivita' fa parte dellefinalita' istituzionali
della famiglia religiosa. la legge considera, invece, attendibili le
pretese, quando un religioso presta il lavoro subordinato in favore
di terzi estranei come per esempio il servizio ospedaliero in un
ospedale non gestito dallo stesso istituto ma da terzi, fossero anche
istituti religiosi.
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