| osserva l' a. che le leggi del 1971, di riforma della giustizia
amministrativa, da un lato hanno consentito di adire la via
giurisdizionale anche senza la previa utilizzazione dei rimedi
amministrativi, e, dall' altro, hanno disposto che, in caso di
silenzio per oltre novanta giorni dell' amministrazione sul ricorso
ad essa presentato, il ricorrente ha la possibilita' d' impugnare
direttamente in sede giurisdizionale o straordinaria lo stesso
provvedimento invano impugnato in sede amministrativa. rilevata la
notevole innovazione introdotta da tali leggi alla precedente
disciplina enunciata dall' art. 5 del t.u. legge com. e prov. del
1934, n. 383, l' a. fa giusta distinzione fra il silenzio che ha
valore di atto amministrativo di rigetto, impugnabile quindi nei
termini di legge sotto pena di decadenza, e il silenzio puro e
semplice, non avente tipico valore legale, che la giurisprudenza ha
definito silenzio-rifiuto, e che l' a., con piu' precisa dizione,
definisce silenzio- inadempimento. questa definizione porta a
importanti conseguenze soprattutto ai fini dell' impugnazione: in
ordine al silenzio-inadempimento non sono applicabili i termini per
la messa in mora, ne' quelli per la impugnazione: non per la prima,
perche' e' sufficiente l' assegnazione di un qualsiasi termine,
purche' di ragionevale ampiezza, avuto riguardo all' attivita' della
pubblica amministrazione; ne' per l' impugnazione, perche' l'
inadempimento si manifesta nel suo ininterrotto rinnovarsi di momento
in momento e percio' non potra' mai dirsi che l' impugnazione di esso
giunge tardiva.
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