| l' a. ricostruisce gli orientamenti ideologici dei procuratori
generali in materia di politica criminale, attraverso un puntuale
esame delle relazioni sullo stato della giustizia da essi annualmente
presentate (anno 1975). ne risulta un quadro estremamente lucido:
dopo aver evidenziato il ruolo di supporto ideologico, apparentemente
in veste tecnica e neutrale, svolto dai discorsi dei procuratori
generali in riferimento a recenti interventi del legislatore (legge
14 ottobre 1974, n. 497; "legge reale") in materia penale che si
contraddistinguono per la tendenza certamente repressiva, l' a.
analizza la linea di politica criminale dei procuratori generali che
appare caratterizzata, nella sua omogeneita', in senso nettamente
conservatore. e' quanto risulta dal costante ed esagerato riferimento
alla "esplosione" della criminalita', fenomeno rispetto al quale lo
stato non reagirebbe con la dovuta fermezza; una criminalita' che non
viene esaminata nelle proprie cause di natura strutturale, ma e'
vista come conseguenza necessaria della crisi generale dei valori
tradizionali (del "buon tempo antico") e delle istituzioni da cui
questi promanavano (scuola, famiglia, religione). non meno reazionari
i rimedi con cui, a detta dei procuratori generali, por fine a tale
stato di cose: potenziamento dei poteri della polizia, ampia
discrezionalita' ed insindacabilita' dell' operato della stessa,
allargamento dei poteri discrezionali della magistratura, adozione
del "fermo di polizia" e impiego diffuso delle misure di prevenzione
previste nelle leggi speciali, utilizzo della carcerazione preventiva
come misura afflittiva; con quale pregiudizio per la legalita' ed i
principi costituzionali in materia penale ognuno e' in grado di
rilevare.
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