| l' a. affronta un problema particolarmente dibattuto in questi tempi,
a seguito di talune vicende giudiziarie di notevole rilievo, politico
e giuridico: il diritto dell' imputato di rinunciare all' assistenza
del difensore, non nominando o revocando il difensore di fiducia e
rifiutando qualsiasi difensore d' ufficio. prendendo le mosse dall'
art. 24 comma 2 costituzione, che ha riguardo tanto all' autodifesa
quanto alla difesa tecnica, egli, rilevato che se la norma riconosce
il diritto al difensore, non stabilisce pero' la inderogabile
necessarieta' della presenza attiva del difensore, pone il problema,
centrale, se la difesa costituisca diritto non solo "inviolabile", ma
anche irrinunciabile, nel senso che l' imputato non possa rinunziare
alla difesa tecnica. ricordati i poteri esclusivi del difensore, e
che la difesa tecnica finisce sempre con il condizionare l'
autodifesa, l' a. nega che si possa parlare, sotto alcun profilo, di
difesa, se tra imputato e difensore non esistono fiducia e
collaborazione, con la conseguente invocabilita', per il difensore
nominato d' ufficio in tale situazione, della giusta causa al rifiuto
dell' incarico previsto dall' art. 131 comma 2 codice procedura
penale. accenna conseguentemente alle riforme legislative che si
renderebbero opportune in seguito all' accoglimento della tesi
sostenuta della possibilita' di rifiuto di difesa tecnica da parte
dell' imputato: modalita' ed effetti del rifiuto; istituzione del
"garante", e cioe' di un tecnico con limitati poteri di intervento
attinenti esclusivamente alla regolarita' formale del dibattimento,
privo di ius postulandi. osserva in chiusura che l' assistenza
imposta a chi la rifiuta non realizza alcuna tutela, ne' dell'
imputato, ne' degli interessi pubblici sottostanti al processo penale
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