| l' a. esaminando la legge urbanistica emanata nel 1977 affronta
innanzitutto il problema della natura giuridica della cosiddetta
"concessione" edilizia. egli nota che il provvedimento in questione
e' definito impropriamente, in quanto la concessione vera e propria
presuppone la mancanza nel concesssionario del diritto che gli viene
attribuito. l' a. osserva, comunque, che il suddetto provvedimento
non puo' essere ricompreso neppure in altri specifici schemi di atti
amministrativi. la nota diversificatrice e' data dal fatto che il
procedimento amministrativo che da' luogo alla cosiddetta
"concessione" si svolge nell' ambito di una potesta' d' imperio della
pubblica amministrazione, alla quale il privato, in quanto titolare
di un diritto sul bene, non partecipa liberamente. l' a. ritiene poi
che all' intera legislazione edilizia, al di la' delle evasioni dagli
schemi tradizionali di singoli provvedimenti, non possa imputarsi una
contrapposizione a principi costituzionali ordinatori, in quanto la
legge stessa si colloca nel quadro normativo dell' art. 42 cost. che,
riconoscendo e garantendo la proprieta' privata, attribuisce a questa
una funzione sociale la quale legittima i limiti imposti alla
proprieta' stessa. passando ad esaminare il rapporto negoziale che
da' luogo alla cosiddetta "concessione", l' a. si sofferma sul
problema dell' individuazione della parte privata. a tal proposito,
egli ritiene che, se sulla proprieta' insiste un diritto di godimento
trasferito a persona diversa dal proprietario, anche a costui sia
attribuito il diritto di chiedere la concessione, purche' tale
concessione sia strumento per la conservazione del suo diritto. dopo
aver affermato che gli aventi diritto a chiedere la concessione sono,
in linea di massima, coloro i quali hanno un diritto reale di
utilizzazione o di godimento sull' immobile, l' a. analizza in
particolare le posizioni dell' enfiteuta, del superficiario e dell'
usufruttuario.
| |