| l' a. rileva che il legislatore ha avuto sempre un' evidente
diffidenza nei confronti di ogni sottrazione alla giustizia statale
della funzione di comporre le controversie individuali di lavoro,
diffidenza che si e' manifestata anche nella riforma processuale del
1973, e che ha contribuito a rendere scarsamente vitale l' istituto
dell' arbitrato di lavoro. ai sensi della citata riforma, per la
decisione delle controversie relative ai rapporti di lavoro
subordinato privato, non puo' essere pattuito il deferimento ad
arbitri attraverso apposito compromesso o tramite l' inserzione di
clausola compromissoria nel contratto individuale; le controversie
individuali di lavoro possono essere decise da arbitri rituali solo
quando cio' sia previsto nei contratti e accordi collettivi di
lavoro. l' a. nota che una simile previsione deve avvenire, a pena di
nullita', senza pregiudizio della facolta' delle parti di adire l'
autorita' giudiziaria. egli rileva poi che, in base al secondo comma
dell' art. 808 codice di procedura civile, e' vietato l' arbitrato
equitativo e quello non impugnabile, e ritiene che tali divieti siano
dettati dall' intenzione di non concedere alle parti piu' di quanto
le stesse possano ottenere dal giudice. per quanto concerne l'
impugnabilita' della sentenza arbitrale, va rilevato che l' art. 808,
oltre a riaffermare i generali motivi di nullita', ne introduce uno
ulteriore rappresentato dalla violazione e falsa applicazione dei
contratti e accordi collettivi. l' a. esamina, quindi, l' arbitrato
libero, e dopo aver notato che tale istituto era piu' utilizzato nel
periodo precedente alla riforma del 1973, allorche' vigeva l'
assoluto divieto dell' arbitrato di lavoro, constata che la
disciplina riservatagli lo fa avvicinare moltissimo alla figura dell'
arbitrato rituale. l' a. conclude, infine, dedicando alcuni cenni
all' arbitrato irrituale in materia di licenziamento dei dirigenti e
agli arbitrati in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie.
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