| l' art. 2110 del codice civile ha eccezionalmente interdetto, nell'
ambito del rapporto di lavoro, l' azione di inadempimento per la
mancata esecuzione dell' obbligo di prestazione, conseguente a
malattia. per evitare che la deroga ai principi generali fosse
indefinita il legislatore ha inoltre disposto che le contrapposte
organizzazioni, in sede di contrattazione collettiva, definissero
precisamente la durata del periodo di comporto. l' a. ritiene,
concordando con la cassazione e con gran parte della dottrina, che la
facolta' di recesso ai sensi del secondo comma dell' art. 2110 codice
civile sopravviva anche dopo la entrata in vigore delle leggi che
hanno estromesso dal nostro ordinamento il licenziamento
discrezionale. rileva poi che l' art. 2110 quando fa riferimento alla
"malattia" intende per essa l' unitario ed ininterrotto evento
morboso in atto, di una certa gravita', non volendo certo riferirsi
alle malattie plurime ed intermittenti. per quanto riguarda la
salvaguardia di questi ultimi eventi morbosi si e' pervenuti, nell'
ambito della normazione collettiva, alla formulazione di clausole di
comporto per "sommatoria" che sono cosi' andate ad aggiungersi a
quelle di comporto "secco" o "classico". secondo l' a., poiche' il
"comporto secco" non copre affatto le malattie brevi ed
intermittenti, il datore di lavoro che si trovi di fronte a
prestazioni irregolari, non proficue e disorganizzanti, conseguenti
alla eccessiva morbilita' (sempreche' non salvaguardata da apposite
clausole pattizie di comporto) puo' senz' altro risolvere il rapporto
sulla base del giustificato motivo oggettivo previsto dall' art. 3
della legge n. 604 del 1966. l' a., infine, esamina il modo di
atteggiarsi del rapporto di lavoro in caso di risoluzione per
superamento del periodo di comporto, a seconda che cio' avvenga in
relazione al comporto"classico" o a quello per "sommatoria".
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