| la corte costituzionale ha ritenuto legittimo l' art. 429, comma 3,
del c.p.c., in base al quale il giudice, quando condanna al pagamento
di crediti di lavoro, deve determinare, oltre agli interessi, anche
il maggior danno eventualmente subito dal credito del lavoratore in
seguito alla svalutazione. secondo la corte, infatti, la disparita'
di trattamento tra i dipendenti privati nei cui confronti si applica
l' art. 429, e i dipendenti pubblici deriva dal fatto che il debitore
privato riceve dalla svalutazione un "arricchimento", mentre di
"arricchimento" non si potrebbe parlare nei confronti dello stato e
degli altri enti pubblici. l' a. rileva come la corte abbia
utilizzato il termine "arricchimento" e si domanda se la corte abbia
voluto riallacciarsi alla teoria che, in casi come questo, ritiene
possibile fare effettivamente ricorso all' arricchimento senza causa,
o se invece abbia voluto riferirsi all' istituto del risarcimento. l'
a. ritiene inaccettabile tuttavia che si possa parlare di
arricchimento nel caso in questione, mentre considera corretto vedere
nell' art. 429 un' ipotesi di risarcimento. questa conclusione porta
pero' ad affermare che anche lo stato e gli enti pubblici sono
tenuti, in caso di ritardo, a pagare ai dipendenti dei crediti
rivalutati. i problemi politici e burocratici che ne derivano non
avrebbero dovuto impedire alla corte di arrivare a questa corretta
affermazione. esamina infine le caratteristiche della mora ex re
prevista dall' art. 429 ed i problemi derivanti dalla interpretazione
della cassazione che, in contrasto con la corte costituzionale, ha
confermato l' efficacia retroattiva dell' art. 429, comma 3.
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