| le 3 norme-cerniera, incriminanti l' interesse privato in atti d'
ufficio, l' omissione di atti di ufficio e l' abuso d' ufficio non
possono rimanere come sono: nell' assetto del codice rocco, nella
struttura dello stato del tempo, accentrante nell' esecutivo gli
altri poteri, e nella legislazione amministrativa dell' epoca,
essenzialmente descrittiva del comportamento da tenere da parte del
pubblico amministratore, ben esse erano coerenti, volutamente
formulate come norme c.d. di chiusura, in modo che qualunque
comportamento difforme da quello tipico e legale della pubblica
amministrazione fosse potenzialmente incriminabile, sempre, comunque
e dovunque. il che non e' piu' ammissibile in un assetto
costituzionale di netta separazione dei poteri, ne' e' piu' coerente,
pena la dubbiezza del significato da dare a quell' "indebitamente",
contrapposto a un "illegittimamente" implicito nella formula
legislativa, con l' attuale tecnica della legislazione amministrativa
di individuare i modi di comportamento degli amministratori non per
descrizione, ma per obiettivi. vana e' qualsiasi limitazione al
rigore legislativo per via di interpretazione, rischiando scelte e
soluzioni arbitrarie, di contro a cui persino il rigore della suprema
corte e' piu' saggio, dal suo punto di vista; l' intrusione del
magistrato, a far la tara della discrezionalita', concetto oggi in
crisi presso gli stessi amministrativisti, potendo oggi diventare
piu' che mai distruttiva. unica soluzione, riformulare le norme che
regolano il controllo del giudice penale sulla discrezionalita' in un
modo piu' specifico.
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