| la cassazione in due sentenze, l' una della sez. i pen. 31 gennaio
1979, e l' altra della sez. ii pen. 23 febbraio 1972, si e' occupata
dei rapporti tra truffa e frode fiscale. le due pronunce, pur
convergendo sul punto fondamentale dell' essenzialita' dell' atto di
disposizione nella truffa come caratteristica peculiare e demarcante
del reato, tuttavia divergono sul suo contenuto, interpretandolo l'
una restrittivamente, l' altra estensivamente. invero posta nell'
art. 640 c.p. la necessaria concatenazione causale induzione errore -
atto volontario - alterazione patrimoniale, non dovrebbe risultare
difficile risolvere il quesito se nella frode fiscale ricorrono tali
estremi. bisogna pero' intendersi sul concetto di frode fiscale, il
quale per definizione implica "fatti fraudolenti" al fine di
sottrarre materia all' imposizione. siamo in presenza di fatti
fraudolenti ogniqualvolta il contribuente intenda distorcere gli
strumenti predisposti dalla legge per consentire un corretto
adempimento degli obblighi tributari in modo da indurre in errore gli
organi amministrativi di controllo. a ben vedere pero' l'
accertamento non e' un atto di disposizione compiuto sotto induzione
in errore: dalla presentazione della dichiarazione deriva l' obbligo
di procedere, onde alla dichiarazione non corrisponde una posizione
creditoria disponibile dello stato, neppure nell' ipotesi, come per
alcuni tributi, in cui sorge in capo al dichiarante l' obbligo di
versare il contributo corrispondente, verificandosi invece un mero
obbligo del contribuente di attuazione della norma tributaria. il
problema puo' sorgere in un momento antecedente, quando in base a
falsa dichiarazione, nasca nello stato un' implicita rinuncia al
credito. ma anche qui soccorre l' argomento della concatenazione
causale e comunque non si riesce a denucleare nell' imposizione
tributaria dello stato un atto volontario di concessione del proprio
patrimonio dietro induzione in errore.
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