| L' A. svolge una acuta riflessione sull' opera di Vittorio Mathiev
"Perche' punire? Il collasso della giustizia penale" e sull' opera di
Sergio Cotta "Perche' la violenza? Un' interpretazione filosofica".
Per quanto riguarda l' opera di Mathieu, rileva che oggetto di essa
e' la giustificazione-deduzione della pena, giustificazione che parte
da due postulati: che l' uomo sia libero delle sue azioni, e che
essendo libero e responsabile "e' giusto che, per il bene e per il
male gliene derivi una sanzione", la pena appunto. Spiega inoltre che
per Mathieu, una volta ammessa la simmetria del diritto come forma
che rende possibile in generale un rapporto tra libere volonta',
diventa allora chiara la necessita' della pena (e non solo della
semplice sanzione) e che per il filosofo la legislazione penale si
interessa ancor piu' che di fatti di intenzioni soggettive. Espone
infine le argomentazioni che vengono svolte nel libro per ammettere
la pena di morte. Relativamente poi all' opera di Cotta rileva che
questi si sofferma innanzitutto sulla differenza tra violenza e
forza, individuando nella prima l' assenza di misura e nella seconda
invece la presenza proprio della misura, della regolarita', notando
poi che su queste distinzioni si colloca il diritto, quale "modus",
limite attivo, che pur avendo in comune con la forza, la potenza
misurata se ne differenzia poiche' rende possibile la dialogicita',
la coesistenza, di volonta' libere. Conclude che per Cotta solo una
coscienza sensibile alla misura e avvertita dei suoi inisolabili
nessi (liberta'-rispetto, movimento-durata, storia-essere), potra'
evitare gli esiti nichilistici che si annidano in ogni indebita
assolutizzazione, e potra' come tale aprirsi ad una vita di relazione
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