| Il problema del fondamento giuridico della ratio del segreto
bancario, e dei limiti che il magistrato penale incontra in questo
campo, ha come "punto di riferimento" il primo comma dell' art. 47
Cost.. Dottrina e giurisprudenza concordi per quanto riguarda l'
esistenza di tale segreto, diversamente interpretano ed individuano
il suo fondamento giuridico: una parte della dottrina ne riconosce la
fonte nel divieto di rivelazione contenuto nell' art. 10 comma 1
legge bancaria; altri autori e giurisprudenza recente hanno rinvenuto
la fonte dell' obbligo del segreto bancario nell' ambito del diritto
privato, cioe' nell' uso osservato da sempre dalle banche di
mantenere il riserbo piu' stretto sugli affari del cliente. Migliore
e' comunque, secondo l' A., la tesi di chi fonda tale segreto nel
ramo penalistico inquadrandolo fra quelli professionali e, di
conseguenza, facendo riferimento all' art. 622 c.p., circondandolo
dei limiti necessari. Il rapporto che intercorre tra banca e cliente
si fonda, senza dubbio, su elementi simili a quelli del rapporto
fiduciario che si instaura fra le "classiche" figure professionali.
Nell' ambito del segreto bancario particolare interesse ed importanza
riveste l' analisi di come il segreto stesso venga limitato di fronte
ai poteri di coercizione reale della autorita' giudiziaria. La legge,
nella dizione dell' art. 340 c.p.p., riconosce al magistrato un
potere molto ampio in materia, ulteriormente allargatosi con l' art.
5 L. 159/1956. Tali disposizioni, concepite dal legislatore non per
allargare in modo generalizzato i poteri della polizia giudiziaria,
devono essere necessariamente garantite da limiti imposti e all'
attivita' del magistrato e a quella della polizia giudiziaria, quali
la sussistenza di esigenze obiettive tali da sacrificare il segreto
"professionale" bancario, inerenti ad un procedimento penale in atto,
ed il divieto per la polizia giudiziaria di compiere indagini di
propria iniziativa.
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