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| IDG820600027 | |
| 82.06.00027 - Ist. Doc. Giur. / CNR - Firenze
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| Consolo Claudio
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| Estromissione nelle fasi di impugnazione del chiamato in causa
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| Riv. dir. civ., an. 27 (1981), fasc. 2, pt. 2, pag. 132-169
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| (Bibliografia: a pie' di pagina o nel corpo del testo)
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| D40555
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| Viene considerata la possibilita' che il giudice di impugnazione
ravvisi la insussistenza dei presupposti per l' intervento coatto di
un terzo nel giudizio, avvenuto in primo grado ad istanza di parte
oppure iussu iudicis. Secondo alcune pronunce della Cassazione tali
presupposti che sono di duplice ordine (comunanza della causa al
terzo ed opportunita' della sua chiamata) non sarebbero suscettibdili
di riesame nelle fasi di impugnazione. L' autore pone in luce come
tale orientamento non risulti sostanzialmente in armonia con la
impostazione che al riguardo appare accolta dalla prevalente
giurisprudenza della stessa Cassazione e, soprattutto, come esso
costituisca verosimilmente il frutto della tralatizia
generalizzazione di affermazioni riguardanti, nella formulazione
originaria, il solo requisito della opportunita' della chiamata, non
anche quello della sua ammissibilita' sotto il profilo della
comunanza di causa. La conclusione della riesaminabilita' (almeno) di
quest' ultimo elemento viene poi sostenuta sulla base di vari rilievi
esegetici e sistematici: a tale fine non sarebbe neppure necessaria
una specifica doglianza contenuta nei motivi di impugnazione. Per il
caso che, da tale rinnovata valutazione, emerga la inammissibilita'
dell' intervento occorre individuare significato e conseguenze del
provvedimento con cui si "estromette" l' intervento. Tale decisione,
accertata l' originaria carenza di legittimazione (all' intervento)
del terzo, pone fine alla sua partecipazione al giudizio, rendendo
(almeno tendenzialmente) irrilevanti le attivita' processuali che si
ricollegano direttamente alla pregressa partecipazione al giudizio
del terzo. L' indagine si sofferma poi in modo particolare sulla
ipotesi che appare piu' delicata, quella cioe' in cui attraverso l'
intervento fosse stato ampliato l' oggetto del giudizio di primo
grado, deducendosi in esso un diritto facente capo all'
interveniente. La conclusione cui, al riguardo, si perviene e' che lo
scioglimento di un siffatto inammissibile cumulo di cause non
equivalga ad un provvedimento di separazione della causa di
intervento, affinche' questa prosegua in separata sede, ma implichi
una definizione in rito della stessa, imponendo cosi' al terzo di
fare eventualmente valere il proprio diritto in un autonomo giudizio.
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| art. 106 c.p.c.
art. 107 c.p.c.
Cass. 19 febbraio 1980, n. 1226
Cass. 22 agosto 1978, n. 3914
Cass. 23 gennaio 1978, n. 292
Cass. 21 febbraio 1975, n. 660
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| Ist. per la documentazione giuridica - Firenze
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