| L' A. prende in esame la sentenza della Corte Costituzionale 7 maggio
1981, n. 100, che ha dichiarato non fondate le questioni di
costituzionalita' dell' art. 18 della legge 31 maggio 1946, n. 511,
nella parte in cui sottopone a sanzione disciplinare il magistrato
che tenga "in ufficio o fuori condotta tale che lo renda immeritevole
della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che
comprometta il prestigio dell' ordine giudiziario". Le questioni di
legittimita' concernevano questa parte della norma sotto due
fondamentali profili: possibile violazione dell' art. 25 della
Costituzione, perche' la disposizione e' assolutamente o
eccessivamente generica, violando con cio' il principio di legalita';
possibile violazione dell' art. 21 della Costituzione, perche' la
latitudine indistinta di questa norma consentirebbe limitazioni al
diritto di manifestare liberamente il pensiero. La Corte
Costituzionale ha ritenuto infondate le questioni. L' A. sottopone a
critica la motivazione della sentenza, secondo la quale il magistrato
e' sanzionabile disciplinarmente quando esercita la liberta' di
espressione in modo tale da far dubitare che lui, o la magistratura,
non siano indipendenti e imparziali. L' A. sostiene che non e'
ammissibile un ius singulare, di natura disciplinare, per i
magistrati. O il magistrato commette vilipendio e quindi e'
sanzionabile come "chiunque", o manifesta il suo pensiero e quindi
esercita un diritto costituzionale. A meno che non si voglia
introdurre il principio secondo cui uun comportamento che non e'
sanzionabile per "chiunque", lo sarebbe per il magistrato che, pur
non commettendo il vilipendio, tuttavia, comprometterebbe il
prestigio della magistratura con altri minori comportamenti. In cio'
si configurerebbe la violazione del principio di uguaglianza perche'
si vieterebbe al magistrato cio' che e' consentito agli altri, in
violazione dell' art. 3 della Costituzione. Conclusivamente l' A.
propone ed illustra uno strumento idoneo a superare la genericita'
delle limitazioni disciplinari all' esercizio del diritto di
manifestare il pensiero per i magistrati: i giudici disciplinari
dovrebbero condannare soltanto con la maggioranza qualificata di due
terzi.
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