| L' A. prende lo spunto da una massima tratta dalla sentenza della
Corte Costituzionale citata in epigrafe, per svolgere alcune
considerazioni circa la concessione "ad aedificandum". In tale
massima la Corte Costituzionale interpreta la nuova normativa,
costituita per l' edificazione con la legge n. 10 del 1977,
affermando, in sintesi, che il diritto di edificare continua ad
inerire alla proprieta', anche se di esso sono stati compressi e
limitati portata e contenuto; pertanto la concessione ad edificare
non e' attributiva di diritti nuovi, ma presuppone facolta'
preesistenti, non adempie a funzione sostanzialmente diversa da
quella dell' antica licenza. L' A. non ritiene esatta tale
interpretazione, e, dopo aver richiamato varie opinioni espresse da
alcuni giuristi circa lo jus aedificandi, osserva che il termine
concessione ha un preciso significato tecnico-giuridico: il
provvedimento relativo importa trasferimento di un diritto della
Pubblica Amministrazione concedente, che ne sia titolare, al
concessionario, appure importa costituzione da parte della Pubblica
Amministrazione di un diritto a favore del concessionario. Osserva
poi che nel caso si tratta di una concessione tipicamente
costitutiva, perche' nessuna legge attribuisce alla Pubblica
Amministrazione concedente il potere di edificare e non puo'
trasferirsi ad altri un diritto che non si abbia; pertanto non
ritiene esatto dire che nel sistema vigente lo jus aedificandi
continua ad inerire alla proprieta', se non come attributo
connaturale, certo sotto un piu' limitato profilo, cioe' quello che
il proprietario (o il titolare di altro diritti reale), e'
legittimato a costruire o a permettere ad altri di costruire. Svolge
infine alcune considerazioni circa la determinazione della indennita'
di espropriazione, oggetto pure della sentenza in epigrafe, nei
confronti dello ius aedificandi, rilevando che del valore della
edificabilita' non potra' tenersere conto prima che lo jus
aedificandi sia stato concesso dalla pubblica autorita'.
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