| L' orientamento costante della Suprema Corte, cosi' come l' annotata
sentenza, ritiene che il giudizio direttissimo atipico obbligatorio
ex art. 2 l. 497/1974, sia svincolato non solo dai presupposti
contemplati dal primo comma dell' art. 502 c.p.p., ma anche da quelli
del secondo comma (pur non essendo quest' ultimo richiamato dalla
legge speciale). Quindi, per l' adozione del rito in questione, si
prescinderebbe e dalla condizione di detenuto dell' imputato, e dal
sommario interrogatorio, e infine anche dal termine di 10 giorni
entro cui l' imputato deve essere presentato al dibattimento (termine
sostituito con quello di 40 giorni ex art. 272 c.p.p.); unico limite
ancora sussistente sarebbe costituito dalla "non accessibilita' di
speciali indagini". Il giudizio su tale necessita' sarebbe pero'
conferito in via assolutamente discrezionale, ed insindacabile, da
parte del giudice del dibattimento, al pubblico ministero procedente.
L' A. dissente su alcuni punti fondamentali di tale indirizzo
giurisprudenziale. In primo luogo ritiene che il temine di 10 giorni
debba considerarsi termine massimo per la privazione della liberta'
personale ai fini del procedimento direttissimo, e quindi vincolante
nei riguardi di imputati detenuti. Nei confronti di imputati non
detenuti non sussiste invece alcuna scadenza temporale per l'
adozione del rito de quo. In secondo luogo, il giudice del
dibattimento deve poter valutare la necessita' o meno delle "speciali
indagini" sopra menzionate, e in caso di risposta positiva, ordinare
la trasmissione degli atti al pubblico ministero, affinche' proceda
con le forme dell' istruzione sommaria, la quale, secondo l' A., e'
l' unica procedura applicabile alla fattispecie in questione.
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