| All' inizio del secolo XVII, Ponce de Leon, senza allontanarsi dalla
sintesi tradizionale e sulla base di una sua originale comprensione
dell' insegnamento di Agostino, presento' una visione globale dello
stato coniugale non solo diversa da quella dei suoi contemporanei,
magistralmente esposta alcuni anni prima da T. Sanchez, ma
chiaramente vicina, per linguaggio e soluzioni, a quella che oggi si
suole qualificare personalistica. Nel presente articolo ho ricercato
le ragioni storiche del mancato successo della piu' moderna
concezione di Ponce rispetto a quella di Sanchez e ho rilevato che
esso fu determinato non da una valutazione negativa della dottrina
del Teologo Agostiniano, ma dal fatto che dopo la sua morte,
relativamente a certi punti qualificanti dell' insegnamento
ecclesiastico la maggior parte degli autori e lo stesso Magistero
ordinario preferirono le soluzioni del Teologo Gesuita. Spingendo poi
la ricerca fino ai nostri giorni ho constatato che da alcuni decenni,
la letteratura matrimoniale storica e monografica ha progressivamente
riscoperto Ponce de Leon sottolineando anche l' attualita' di alcune
sue affermazioni per le evidenti analogie di linguaggio e di
contenuto con la stessa Gaudium et spes. E in margine ai gravi
appunti di eccessivo spiritualismo e di preconcetta adesione alla
tesi della validita' del matrimonio degli impotenti se contratto ad
caste vivendum, rilevo che sicuro punto di partenza della visione
"ponciana" e' la definizione romano-canonica dell' essenza del
matrimonio in quanto tale come consortium omnis vitae, e che sua
forza originale e insieme suo limite e' la peculiare comprensione
della istituzione del matrimonio ex solo iure naturae, da cui, in
particolare la sua ferma difesa del diritto inalienabile di ciascun
uomo a costituire il consortium coniugale. Di qui, infine, una
personale suggestione per una diversa interpretazione del can. 1068
circa l' impedimento di impotenza.
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