| Prendendo spunto da un disegno di legge, presentato al Senato l' 8
maggio 1981, recante modifiche ai decreti sull' IRPEF e sulla
riscossione delle imposte sul reddito ed inteso, tra l' altro, ad
introdurre elementi di razionalizzazione nella materia della
deduzione di costi ed oneri ai fini della determinazione del reddito
d' impresa, l' A. ricorda che in merito al III comma dell' art. 61
del decreto n. 597 del 1973 il Ministero delle finanze si e' espresso
nel senso di non escludere che il ricorso ai criteri di deducibilita'
proporzionale possa operarsi anche in relazione a taluni costi che,
pur essendo espressamente previsti dalle norme del titolo quinto del
decreto citato, debbano ritenersi aventi natura di spese generali.
Poiche' tale interpretazione ministeriale e' stata criticata in
quanto forzerebbe il significato e la sistematica del testo
normativo, il citato disegno di legge ha ritenuto di superare -
alquanto semplicisticamente secondo l' A. - l' ostacolo sopprimendo
il citato III comma e trasferendone il contenuto, debitamente
ritoccato, nel corpo dell' art. 74 contenente norme generali sui
componenti del reddito d' impresa. Ricordato il riconoscimento
legislativo della rilevanza delle esigenze dell' apparato produttivo,
l' A. considera misura imprevidente e destinata a sconvolgere
delicati equilibri quella intesa ad assoggettare per esempio gli
accantonamenti relativi al trattamento di quiescienza e previdenza
del personale al doppio limite delle quote maturate e della non
eccedenza degli stessi rispetto all' importo emergente dal rapporto
proporzionale di cui all' art. 58. In merito alla proposta
soppressione della norma che, nello stabilire i limiti di
deducibilita' degli interessi passivi, prevede che gli interessi,
premi ed altri frutti delle obbligazioni pubbliche esenti a norma
dell' art. 31 del decreto n. 601 del 1973 concorrano a formare l'
ammontare del denominatore (del rapporto cui corrisponde la quota di
deducibilita') non per l' intero, ma per i nove decimi del loro
importo, l' A. ricorda che trattasi di norma ispirata ad una scelta
di politica legislativa favorevole agli investimenti in titoli
pubblici. La soppressione di tale normativa di favore da un lato non
appare giustificata dal venir meno delle ragioni - tuttora
sussistenti - che ne hanno suggerito l' introduzione dall' altro
delude particolari fondate aspettative dei contribuenti, penalizzando
gli investitori tradizionali, per cospicui importi, in titoli di
Stato quali le banche e le societa' di assicurazione.
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