| L' A. si richiama alle ordinanze dei Pretori milanesi che hanno
reintegrato nel posto di lavoro quegli operai messi in Cassa
integrazione dall' Alfa Romeo a seguito di accordo tra l' azienda e i
sindacati. La problematica sollevata da tali ordinanze, che l' A.
prende in esame, riguarda la "competenza", in base all' art. 5 l. 20
maggio 1975, n. 164, delle associazioni sindacali in materia: se esse
debbano limitarsi a stabilire con le altre parti il solo numero dei
lavoratori che debbono essere "sospesi", o possono, altresi',
concordare "quali" debbano essere tali lavoratori. L' A., concordando
con le ordinanze citate, sostiene che le associazioni sindacali non
hanno il potere di concordare, oltre che "quanti", anche "quali"
lavoratori debbano essere sospesi o licenziati. Cio' e' deducibile
dall' art. 3. comma 1 Cost.. Spostando la questione sui "poteri"
dell' imprenditore ai fini della identificazione dei lavoratori da
collocare in Cassa integrazione, l' A. concorda ancora con le
ordinanze pretorili, secondo cui tali poteri sono limitati, quali
sarebbero se si trattasse di licenziamento collettivo per riduzione
di personale. A sostegno, l' A. si richiama all' attuale disciplina
del rapporto di lavoro che non consente all' imprenditore di
procedere ad libitum, come sembra essere avvenuto nel "caso" Alfa
Romeo. Alla base di questo comportamento imprenditoriale sta il
riferimento allo "assenteismo anomalo ricorrente", riferimento
comparso nell' accordo Alfa Romeo 9 marzo 1982, che ha consentito
all' azienda il superamento, piu' o meno immotivato, della garanzia
offerta ai lavoratori dall' art. 32 Cost. e dall' art. 39 in
relazione agli artt. 14 ss. l. 20 maggio 1970, n. 300.
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