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145662
IDG830900247
83.09.00247 - Ist. Doc. Giur. / CNR - Firenze
Cenci Piero
Frode sportiva e truffa
nota a Trib. Roma 22 dicembre 1980
Giur. merito, an. 15 (1983), fasc. 2, pt. 2, pag. 456-471
(Bibliografia: a pie' di pagina o nel corpo del testo)
D5191; D546
L' A. sostiene che non puo' configurarsi il delitto di truffa nella frode sportiva, che e' quella commessa da un concorrente - o da piu' concorrenti - in una competizione sportiva, determinandone i risultati in modo prestabilito per procurare a se' o ad altri il profitto di una vincita con danno di altri scommettitori. Le argomentazioni addotte sono le seguenti: innanzi tutto, non puo' dubitarsi sulla liceita', secondo i normali criteri di morale sportiva, della condotta del competitore che risparmi energie in previsione di impegni sportivi ritenuti piu' importanti. Id est: non e' concepibile in assoluto uno specifico impegno del competitore di dare il meglio di se' in ogni agone sportivo conformemente alle aspettative del pubblico e degli avversari. Il compenso percepito ai competitori disonesti e' irrilevante, trattandosi di pretium sceleris, la cui dazione precede il reato di truffa. Spesso l' atto di disposizione patrimoniale dello scommettitore ignaro precede l' accordo fraudolento fra il corruttore e l' atleta. In ogni caso, l' artificio sarebbe successivo alla presentazione delle scommesse. Inoltre molti giocatori scommettono, in sostanza, a caso, e quindi non sarebbero legittimati a proporre la querela. Manca in ogni caso la cooperazione artificiosa tra il competitore, soggetto attivo dell' inganno, ed il soggetto tratto in errore. E' estremamente difficile poi stabilire un nesso di causalita' tra uno o piu' competitori e l' esito della gara. Da ultimo il dolo si manifesterebbe successivamente all' inganno ed alla induzione in errore dello scommettitore, ed addirittura dopo l' atto di disposizione patrimoniale. Si puo' pertanto concludere che la frode sportiva e' una fattispecie ontologicamente diversa da quella della truffa, ed a questa riconducibile soltanto in virtu' dell' analogia, peraltro vietata in materia penale. Di conseguenza, de jure condito l' unica risposta possibile e' quella disciplinare. De jure condendo, appare necessario colmare la lacuna, trattandosi di un valore che la coscienza sociale ritiene meritevole di tutela penale.
art. 640 c.p. art. 98 l. 24 novembre 1981, n. 689
Centro diretto da M. Fameli - IDG Firenze



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