| Si fa riferimento alle posizioni teoriche espresse da due esponenti
di punta del movimento non violento appartenenti a due aree culturali
profondamente diverse, J. M. Muller e M. K. Gandhi. La questione di
fondo comune ad entrambi e' che, ogni azione non violenta resta
sempre anche, in qualche modo, 'violenta'. Cio' che non e' comune e'
il suo 'perche'': le ragioni di Muller non sono quelle di Gandhi, per
il fatto che la non violenza del primo non e' la 'non violenza' del
secondo. Per Muller la 'non violenza' e' una modalita' dell' agire,
ispirata all' obbiettivo eticocomunitario del minor male possibile,
per Gandhi la 'non violenza' e' una realta' strutturale dell' Essere,
che costituisce il parametro di verita' per l' azione storica del
soggetto. Si sostiene che e' poco importante ridurre il problema
della violenza dei non violenti al piano empirico dell' azione. Su
questo piano e' la struttura finita dell' azione a determinare un
contenuto necessariamente ambiguo. E', invece decisivo porre il
problema al livello della interpretazione filosofico-culturale dove
l' ambiguita' scompare: se si considera l' orizzonte assolutamente
politico, la violenza resta la realta' ineliminabile dell' esistere
storico; se ci si muove su un piano di interpretazione
metafisico-esistenziale, la violenza e' l' errore della storia, la
'non violenza' e' la verita'.
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