| Uno dei piu' interessanti problemi e, forse, il problema per
eccellenza che il diritto del lavoro pone al suo interprete e' senza
dubbio quello della esatta configurazione del rapporto intercorrente
tra norma inderogabile e contratto collettivo. In altri termini, e'
ancor oggi attuale porsi l' interrogativo circa la rilevanza
attribuita dall' ordinamento all' autonomia collettiva e alle sue
manifestazioni negoziali. Alla luce del diritto positivo, pero', e
nonostante la coscienza comune che il fenomeno sindacale travalica e
rende in parte obsoleti gli schemi dogmatici tradizionali, e'
giuocoforza ammettere che la norma inderogabile esplica per intero i
suoi tipici effetti di caducazione e sostituzione della clausola
contrattuale nulla e di conservazione del contratto collettivo, senza
che il meccanismo delineato dal legislatore negli artt. 1339, 1374,
1418 e 1419 c.c. subisca modifiche sostanziali, a causa del fatto che
uno dei termini di raffronto sia rappresentato dal contratto
collettivo, appunto, anziche' da quello individuale di lavoro
subordinato. Anche il metodo di confronto e, cioe', la maniera per
identificare la pars negotii invalida deve restare quella
tradizionale di procedere per clausole, pur ammettendosi che criteri
diversi quali il "conglobamento" o il raffronto per "istituti"
lasciano uno spazio maggiore alla politica contrattuale del
sindacato. E' questa la conclusione obbligata che discende dalla
natura privatistica del contratto collettivo, cosi' come, almeno in
termini di diritto positivo, non puo' che essere negativa la risposta
all' esigenza avvertita dal sindacato di godere di una maggiore
elasticita' nel confronto con la legge o, addirittura, di vedere
affermata una pari dignita' tra le proprie manifestazioni negoziali e
le disposizioni legali.
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