| Oggetto di questo studio e' la giurisprudenza costituzionale in
materia d' indennizzo per l' espropriazione. La trattazione del tema
e' preceduta da una breve ricognizione di alcuni tratti salienti del
giudizio di costituzionalita', quelli che, secondo l' A.,
maggiormente contrassegnano la peculiarita' di questo giudizio ed,
insieme, rendono ragione di un particolare modo di essere della
prassi interpretativa della Corte. Questa, infatti, appare
caratterizzata da un fenomeno di "tendenziale liquidita' degli
indirizzi giurisprudenziali", intendendo con cio' una interpretatio
che si traduce nella posizione di principi direttivi di estrema
latitudine, tali da ben sopportare qualsiasi pratica oscillazione di
giudizio ed insieme da consentire una costante manipolazione dei
precedenti. Esempio tipico di cio' e' appunto la giurisprudenza sulla
misura dell' indennizzo. In essa, a giudizio dell' A., e' dato
riscontrato l' esistenza di due livelli del discorso motivatorio. Il
primo consistente nella posizione dei "principi", che approda alle
note affermazioni della non simbolicita', serieta', congruita' dell'
indennizzo. Il secondo che si svolge sul piano delle argomentazioni
con cui si motiva, nei singoli casi, la legittimita' o illegittimita'
costituzionale delle leggi in esame. Sul piano dei principi si puo'
notare come, in sintesi, la Corte ripeta, con varianti puramente
verbali, lo stesso concetto (quello della non simbolicita' dell'
indennizzo); sul piano delle argomentazioni invece sembra muoversi
sia pure cautamente, in direzione dell' accoglimento del cosiddetto
criterio del valore venale. Da qui la conclusione, provvisoria e d'
ordine prevalentemente metodologico, che, a meno di non voler
ricostruire l' iter interpretativo della Corte per via di piu' o meno
arbitrarie (o maliziose) illazioni, l' unico insegnamento che si puo'
trarre da questa giurisprudenza e' che ad essa male si attagliano gli
ordinari strumenti (logico-dogmatici) d' indagine e, forse,
occorrerebbe trovarne di nuovi.
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