| L' A. sostiene che il contratto di affitto dell' azienda del fallito
stipulato dagli organi della procedura pone - accanto ai problemi
tradizionali della compatibilita' del contratto con i fini del
fallimento - una questione di fondo: la sopravvivenza del concetto di
azienda, quale previsto dagli artt. 2555 ss. del codice civile, alla
vicenda disgregatrice dell' insolvenza. Se cioe' e' sicuro che l'
azienda conserva il carattere di oggetto della garanzia patrimoniale
per i creditori, e' invece discutibile - secondo l' A. - che al
fallimento possa in ogni caso sopravvivere quel minimo di
organizzazione necessaria alla sussistenza e alla fattispecie; e cio'
soprattutto per la circostanza di fatto che sovente l' affittuario
destina i beni ad attivita' economica diversa da quella esercitata
dal fallito. L' A. pero' ritiene che non necessariamente l'
alternativa al concetto di azienda sia quello di immobile attrezzato,
distinzione quest' ultima rilevante soprattutto ai fini della
applicazione della legislazione vincolistica. In sede fallimentare
puo' farsi ricorso alla nozione intermedia di opificio, che
corrisponde descrittivamente alla ipotesi dell' azienda inerte,
suscettibile pero' di essere riorganizzata e ristrutturata dall'
affittuario ai fini dell' esercizio di una nuova e diversa impresa.
Al contrario di affitto di opificio non si applicherebbero la
normativa vincolistica dettata in tema di locazioni; ne' la normativa
dell' azienda, che in caso di trasferimento presuppone la persistenza
e la continuazione, da parte dell' acquirente, della stessa impresa
esercitata dall' alienante (in particolare, la successione nei
debiti).
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