| L' A. sottolinea come la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 28
del 1982, sia pervenuta alla attribuzione della qualifica di
"minoranza riconosciuta" ai gruppi sloveni presenti nella provincia
di Trieste argomentando esclusivamente in termini di diritto interno,
prescindendo, cioe', tanto dallo statuto speciale allegato al
Memorandum d' intesa di Londra, quanto dal piu' recente trattato di
Osimo. La pronuncia ha ritenuto che gli sloveni, purtuttavia, non
possano lamentare disparita' di trattamento con i gruppi tedeschi
dell' Alto Adige e con quelli francofoni della Valle d' Aosta, cui e'
concesso di usare la propria lingua nel processo penale, poiche', in
relazione alle differenti situazioni ambientali, il legislatore ben
puo' disporre regimi di tutela "articolati e peculiari"; ma ha
soggiunto che con l' attribuzione della ripetuta qualifica di
minoranza riconosciuta e' incompatibile qualsiasi sanzione che
colpisca l' uso della madre-lingua, quale quella prevista dal comma 3
dell' art. 137 del c.p.p.. La linea interpretativa prescelta dalla
Corte merita consenso in quanto valorizza la immediata precettivita'
delle disposizioni costituzionali in tema di tutela delle minoranze;
mentre il fatto che essa abbia dato luogo ad una sentenza
interpretativa di rigetto, e non ad una decisione di accoglimento,
deve farsi risalire ad un consapevole atteggiamento di
"self-restraint". La Corte, in altri termini, ha inteso circoscrivere
la portata della pronuncia, in "termini di rilevanza", all' ambito
spaziale in cui la questione era stata proposta, e cioe' al
territorio di Trieste; il che non esclude peraltro che, quando il
ragionamento della sentenza possa essere rifatto pari pari,
accertando quindi la presenza di insediamenti di una minoranza
riconosciuta, ai membri di questa si applichi doverosamente la
medesima soluzione.
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