| Nel disciplinare l' istituto della scarcerazione automatica per
decorrenza dei termini massimi di custodia preventiva, l' art. 272
c.p.p. nulla espressamente dice a proposito dei termini operanti nel
caso di procedimento con rito direttissimo. Il rilevato "silenzio"
del legislatore pone all' interprete la seguente alternativa: "o si
riconosce che la lacuna normativa costituisce una palese violazione
dell' art. 13 Cost., o si ritiene che si debbano estendere al
giudizio de quo i termini previsti per il procedimento ordinario".
Nella decisione che si annota, la Suprema Corte ha preferito la
seconda soluzione, confermando l' indirizzo giurisprudenziale gia'
manifestato in precedenza, ma riproponendo taluni motivi di
perplessita' che risultano collegati proprio al tipo di soluzione
adottata. Dopo la fase dell' istruzione, il protrarsi dello stato di
carcerazione preventiva si fonda su di un provvedimento che, in
quanto basato sulla valutazione degli elementi di prova esistenti a
carico dell' imputato, consolida l' ipotesi accusatoria,
giustificando l' ulteriore limitazione della liberta' personale.
Cosa, questa, che non si verifica nell' ambito del giudizio
direttissimo. Si deve concludere pertanto che, attraverso la
previsione del medesimo termine per il giudizio instaurato a seguito
di presentazione dell' imputato all' udienza e per quello preceduto
da una fase istruttoria, si realizza la sottrazione, in danno all'
imputato giudicato per direttissima, della garanzia dello sbarramento
rappresentato dal provvedimento di chiusura dell' istruzione, il
quale deve intervenire, per consentire il mantenimento della misura
restrittiva della liberta' personale, non oltre la meta' del termine
globale fissato per il giudizio di primo grado cui si procede previa
istruzione formale.
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