| L' A. passa in rassegna una serie di decisioni della Corte
costituzionale caratterizzate dal presentare come dato comune il
riferimento alla deontologia forense, sia pure assunto di volta in
volta in termini diversi e per differenti finalita'. Viene cosi' in
considerazione in primo luogo la sentenza n. 59 del 1959, in cui il
canone deontologico e' valorizzato al punto di fondare su di esso una
declaratoria di incostituzionalita', sia pure attraverso una
sottolineatura, forse discutibile, del ruolo del giudice in funzione
di controllo del rispetto del canone medesimo. Eguale preoccupazione
per "l' effettivita'" della difesa non si riscontra, invece, nella
sentenza n. 114 del 1967, in materia di gratuito patrocinio, tendente
a respingere i problemi sollevati nel campo della politica
legislativa, e dunque fuori del controllo di costituzionalita'. Altre
pronuncie, rigettando questioni attinenti alla disciplina della sfera
territoriale di esercizio della professione di procuratore legale,
privilegiano l' esigenza di un corretto ed efficiente svolgimento di
questa anche sulla tutela delle libere determinazioni del cliente
che, dalla normativa sulla residenza dei procuratori, vede ristretta
l' area di potenziale scelta dal patrono. Altre ancora fanno della
consacrazione in norme di legge di canoni tipicamente deontologici,
quali quelli della "lealta' e probita'", di cui all' articolo 88 del
codice di procedura civile, il fondamento della reiezione di
questioni vertenti su altre norme di disciplina dell' esercizio
giudiziario della professione forense. Si danno poi casi in cui a
base della reiezione si assume l' esistenza di prassi
giurisprudenziali, da cui si ritiene assicurato il principio dell'
effettivita' della difesa. Vi e', ancora, la sentenza n. 62 del 1971,
in cui, pur negandosi che la presenza del difensore al compimento
degli atti istruttori cui ha diritto di assistere configuri una
necessita' processuale, si ha cura di chiarire che essa costituisce
adempimento di un dovere professionale, la cui inosservanza puo'
trovare sanzione in sede disciplinare. Vi e', infine, la nota
decisione n. 125 del 1979, con la quale, affrontando il problema del
cosiddetto "divieto di autodifesa esclusiva" in un momento di forte
tensione interna alla classe forense sui tipi di risposta
professionale da dare al nuovo fenomeno del rifiuto di difesa, la
Corte si e' sforzata di trovare nella normativa vigente, di cui non a
caso e' posta in rilievo l' elasticita', un margine di conciliazione
tra le due opposte esigenze della necessaria presenza del difensore a
fianco dell' imputato, da un lato, e, dall' altro, del rispetto delle
scelte autodifensive o, al limite, non-difensive dell' imputato
stesso.
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