| L' A. osserva che la sentenza n. 183 del 1981, con la quale la Corte
Costituzionale ha negato che ai consiglieri regionali possa
applicarsi la sospensione provvisoria dai pubblici uffici, presenta
alcuni profili che meritano un cenno di commento, malgrado l'
interesse per la questione sia stato sensibilmente ridotto dall'
avvento della nuova disciplina recata dalla legge n. 689 del 1981,
che ha appunto escluso l' applicabilita' della sospensione nei
confronti di quanti ricoprono un pubblico ufficio per diretta
investitura popolare. La Corte, difatti, per pervenire alla
conclusione accennata, muove da due presupposti, costituiti
rispettivamente dalla considerazione della natura cautelare dell'
istituto dell' applicazione provvisoria di pene accessorie e dalla
asserita "pienezza" dell' immunita' penale di cui godrebbe l' ufficio
di consigliere regionale. Orbene, questo secondo presupposto non
sembra potersi condividere, atteso che l' immunita' penale dei
consiglieri regionali ricomprende soltanto le manifestazioni di
pensiero che si verifichino nel compimento degli atti propri del
mandato consiliare, mentre non sono contestate la configurabilita' e
la perseguibilita' di comportamenti criminosi posti in essere al di
fuori dell' esercizio delle funzioni, ma tuttavia strettamente
correlati all' ufficio pubblico ricoperto, e dunque tali da
giustificare, sotto tale profilo, l' applicazione della misura
cautelare della sospensione. In realta', per escludere l'
applicabilita' della sospensione, anche alla stregua della normativa
allora vigente, nei confronti dei consiglieri regionali, la Corte
avrebbe potuto piu' utilmente riferirsi alla disciplina della materia
elettorale, cui e' generalmente riconosciuto carattere di specialita'
rispetto alla legislazione penale, e dalla quale risulta che la
sospensione provvisoria dai pubblici uffici non rientra nel novero
delle cause tassative che possono dar luogo a decadenza dalla carica
di consigliere regionale.
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