| Prendendo spunto da una nota decisione giurisprudenziale, che ha
riconosciuto colpevoli di omicidio volontario i genitori di una
bambina deceduta in seguito alla mancata sottoposizione a trasfusioni
di sangue, rifiutate dai genitori stessi, Testimoni di Geova, in
ragione della loro fede, l' A. osserva che un' attenta disamina dell'
art. 32 Cost. induce a concludere per l' inesistenza di un dovere di
cura della propria salute, non desumibile, peraltro, neppure dall'
art. 5 c.c.. Doverosita', stabilita dalla legge, puo' esistere solo
relativamente a determinati trattamenti sanitari, imposti, anche
coattivamente, per evitare che il deterioramento della salute del
singolo arrechi danno alla salute degli altri. Poiche', dunque, fuori
di questa ipotesi il trattamento e' volontario, per la sua
legittimita' occorre che vi sia il consenso del paziente. Nel caso
che questi, a cagione delle sue condizioni, non sia in grado di
consentire, deve escludersi che lo stato di necessita' possa
abilitare il medico ad intervenire anche contro il volere
precedentemente espresso dal paziente; d' altra parte, non ha senso
richiedere un consenso attuale, dato specificatamente per ogni
singolo atto, in quanto la soluzione piu' equilibrata sembra quella
di preventivare, previa un' adeguata informazione del paziente, piu'
quando questi e' in grado di ragionare, un margine di liberta' del
medico, necessario per la riuscita del trattamento. Idea del tutto
peregrina e' poi quella di attribuire al giudice un potere
decisionale che tenga luogo del consenso del paziente, o addirittura
ne superi il rifiuto. Per quanto riguarda, invece, i minori, e' da
giudicare legittimo l' intervento del giudice nel caso che le scelte
degli esercenti la patria potesta', cui spetta esprimere il consenso,
siano tali da riuscire pregiudizievoli alla vita e alla salute del
minore stesso. Non condivisibile, tuttavia, appare il tipo di
intervento posto in essere nel caso concreto che ha dato origine alla
sentenza ricordata all' inizio; un' ordinanza del Tribunale dei
minori che, imponendo ai genitori di compiere, ai fini dell'
effettuazione delle trasfusioni, determinate attivita', piu'
utilmente affidabili ad altri, ad esempio al servizio sociale,
mostrava di non portare il dovuto rispetto alle loro credenze
religiose.
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