| L' A. osserva che la costruzione di un servizio di sanita' pubblica
come servizio sociale erogato in favore di tutti i cittadini e l'
immediata unificazione dei livelli delle prestazioni sanitarie,
disposta con un provvedimento successivo alla legge di riforma, di
necessita' avrebbero postulato l' abbandono dei vecchi schemi di
prelievo, propri della finanza contributiva, ed il passaggio deciso
alla fiscalizzazione. La riforma ha invece provveduto a sussumere i
vecchi contributi di categoria nel c.d. contributo sociale di
malattia e, per di piu', la congerie di interventi legislativi ad
essa susseguenti non ha conseguito l' esito di eliminare le diverse
misure contributive a carico degli assistiti a seconda della loro
pregressa appartenenza all' uno o all' altro degli enti mutualistici
ora soppressi. La disciplina concernente il finanziamento del
servizio sanitario nazionale presenta quindi un duplice profilo di
incostituzionalita': da un lato, difatti, essa viola il principio di
uguaglianza, a cagione delle ingiustificate differenze di
contribuzione che continuano senza causa a sussistere tra le diverse
categorie di assistiti; d' altro lato, poi, lo stesso sistema
contributivo indipendentemente dalle accennate discriminazioni,
appare incompatibile con l' articolo 53 della Costituzione, in quanto
assume a presupposto impositivo non gia' un fatto economico denotante
capacita' contributiva, bensi' la fruizione di un servizio sociale.
In altri termini, il contributo sociale di malattia si presenta come
un tributo di "secondo grado" rispetto alla vigente imposta sul
reddito delle persone fisiche, per cui quand' anche fossero elimitati
i motivi di censura fondati sul principio di uguaglianza, esso
resterebbe comunque una ingiustificata ed inammissibile duplicazione
dell' IRPEF.
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