| Con il ritorno sotto l' autorita' del Pontefice, Bologna conosce, nel
1815, un regime di restaurazione teocratica. La classe dirigente e'
assai poco mutata rispetto al periodo prenapoleonico: alla vecchia
aristocrazia senatoriale che aveva accettato il compromesso del
generale corso pur di conservare la supremazia e i privilegi
economici, si affianca ora la grossa borghesia intesa a difendere gli
stessi interessi economici, rappresentati dalle grandi proprieta'
terriere frutto delle speculazioni sui beni nazionali sottratti alle
congregazioni ecclesiastiche. Questa classe, che pur sarebbe
favorevole ad un governo diverso da quello teocratico, costituzionale
e garante del rispetto delle ricchezze acquisite, non sa opporsi ad
una restaurazione che soffoca ogni tentativo di rinnovamento civile
ed economico ed ogni aspirazione al particolarismo municipale.
Incapace di trovare alcun punto di convergenza tra i propri interessi
politici ed economici e quelli espressi dalla S. Sede, la classe
dirigente e' nello stesso tempo aliena dal consentire alle sia pur
vaghe aspirazioni democratiche espresse dalle associazioni carbonare
che toccavano anche Bologna. Solo dopo i moti del '31 una generazione
di mezzo tra passato e presente sarebbe stata in primo piano nella
costruzione risorgimentale, spinta dalla sua fede nelle liberta'
individuali e nelle realta' costituzional-parlamentari, collegandosi
idealmente all' esperienza dell' epoca napoleonica, ma con scarse
aperture democratiche lontane dalle sue origini e dai suoi interessi
economici di grande proprieta' terriera.
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