| L' A. rileva che la sentenza n. 40 del 1982 della Corte
costituzionale, pur restando nelle linee generali fedele ad un
indirizzo giurisprudenziale che ha sollevato non poche perplessita'
nella dottrina, cerca tuttavia di ancorare a piu' precisi parametri
costituzionali i vincoli imposti alla liberta' di non associarsi,
ammettendo che possa farsi luogo a forme di associazionismo
obbligatorio solo in presenza di fini "assunti inequivocabilmente
come pubblici in Costituzione". Anche tale soluzione, peraltro, non
vale a fugare ogni dubbio, in quanto, pur consentendo che il precetto
dell' articolo 18 debba andar coordinato con altre disposizioni della
Costituzione, che in vario modo circoscrivono la sfera di attivita'
dei privati, occorre domandarsi se, in campi che non sono interamente
sottratti alla disponibilita' dei privati, il sicuro riconoscimento
costituzionale del carattere pubblico di alcune finalita' sia
sufficiente a giustificare l' imposizione di un vincolo di
appartenenza necessaria all' associazione, considerato, altresi', che
la corporazione pubblica tendera' naturalmente ad assumere il
monopolio della rappresentanza degli interessi di categoria e a porsi
come esclusivo strumento organizzatorio di tutela superindividuale.
Si tratta, invero, di esercitare un' opzione fra due differenti modi
di configurare i rapporti fra i gruppi sociali e i pubblici poteri:
se, difatti, collocandosi in un' ottica di stampo pluralista si vede
nell' articolo 18 della Costituzione la norma fondamentale della
disciplina dei fenomeni associativi, viceversa in un' ottica di tipo
corporativo si tende a riconoscere ad esso una sfera di applicazione
meramente residuale.
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