| L' A. svolge alcune riflessioni medico-legali in connessione con la
pratica di certi sport che, come la boxe, comportano una particolare
e oggettiva esposizione al pericolo. Coloro che praticano questi
sport accettano l' eventualita' pericolosa, accettazione che
giuridicamente trova fondamento nella legittimazione sociale a
disporre, a fini sportivi, del proprio corpo. Questa legittimazione
trova nella disciplina giuridico-sociale temperamenti e veti che,
attraverso una precisa regolamentazione, tendono a limitare il
pericolo delle attivita' sportive, sia per i partecipanti che per gli
spettatori e gli estranei. Approfondendo la riflessione, l' A.
affronta il tema particolare della responsabilita' dell' atleta che,
nell' esercizio sportivo arrechi nocumento ad altro atleta
direttamente impegnato nel confronto, come accade specialmente nella
boxe, dove il fatto lesivo e' connaturato alla stessa attivita'
sportiva. Il comportamento lesivo, in questo caso, e' legittimato
dalla legittimazione stessa dello sport, sempre che il comportamento
sia compreso nell' ambito dell' osservanza dele regole sportive.
Tuttavia, sulla base di una serie di dati riguardanti il gran numero
di lesioni gravi subite da pugili, oltre ai numerosi casi di decesso,
si pone la necessita' di una piu' seria e rigorosa regolamentazione
di questo sport, tesa a limitare le conseguenze lesive che puo'
procurare. Esaminate le norme in vigore in questa materia, per quanto
attiene alla prevenzione e all' accertamento dell' idoneita' degli
atleti a praticare questo sport, l' A. studia la proposta volta ad
autorizzare il medico incaricato ad assistere al combattimento ad
interrompere, in qualunque momento, un incontro in corso, ad
esaminare uno dei partecipanti, e ad arrestare un match che, a suo
giudizio, potrebbe provocare gravi conseguenze ad uno dei contendenti
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