| Con le sentenze nn. 30 e 31 del 13 febbraio 1981, la Corte
costituzionale ha confermato ed integrato la propria precedente
giurisprudenza sui limiti all' ammissibilita' di referenda abrogativi
di leggi di attuazione di trattati internazionali, affermando che il
limite sancito dall' art.75, comma 2 - letteralmente solo per le
leggi di autorizzazione alla ratifica - concerne oltre al "momento
dell' esecuzione strettamente intesa", cui aveva fatto riferimento
nella sentenza n. 16/78, anche tutte le leggi produttive di "effetti
strettamente collegati all' ambito di operativita' dei trattati": la
ratio del limite andrebbe infatti individuata nell' intento di
evitare che una pronuncia popolare possa causare la responsabilita'
internazionale dello Stato italiano. La Corte ha pertanto dichiarato
inammissibili i referenda proposti per abrogare taluni articoli della
legge 22 dicembre 1975, n. 685 (Disciplina degli stupefacenti e delle
sostanze psicotrope) e della legge 2 agosto 1975, n. 393
(Localizzazione delle centrali elettronucleari), sostenendo che l'
emanazione di tali disposizioni risultava imposta da obblighi
convenzionali. La posizione della Corte pare discutibile sia nelle
premesse da cui muove nella ricostruzione del limite sia, almeno
relativamente alla sentenza n. 31, in ordine alla sua applicazione
concreta. Si puo' dubitare innanzi tutto del fatto che la ratio del
divieto consista in quell' intento di evitare la responsabilita'
internazionale dell' Italia per il venir meno - a causa dell'
abrogazione della legge di autorizzazione alla ratifica - del
trattato stesso, che la Corte ha assunto come base al fine di
estendere poi l' operativita' della norma, attraverso un'
interpretazione "logico-sistematica", anche alle leggi di esecuzione.
Queste ultime, inoltre, andrebbero intese in senso stretto, non
comprensivo, quindi, in tutte le norme che, qualunque sia l'
occasione della loro emanazione, consentano l' attuazione di obblighi
convenzionali: mancherebbe infatti, in tal caso, ogni rapporto con
una legge di autorizzazione alla ratifica che giustifichi l'
estensione "al momento dell' esecuzione", considerato come una fase
di un unico processo, del limite espressamente enunciato nell' art.
75, comma 3. Non pare invece accettabile la delimitazione proposta
dalla Corte del divieto in questione alle sole leggi rispetto alle
quali allo Stato non rimanga alcun "margine di discrezionalita'
quanto alla loro esistenza e al loro contenuto, sostenendo che nelle
altre ipotesi l' abrogazione non causerebbe necessariamente la
responsabilita' internazionale perche' sarebbe pur sempre possibile
dare attuazione in altro modo al trattato. L' abrogazione delle norme
con le quali, in concreto, l' ordinamento interno e' stato reso
conforme a quanto prescritto dal trattato da' luogo comunque ad un
inadempimento: esse costituiscono infatti l' indispensabile strumento
di attuazione dell' obbligo finche' non sia stata emanata una nuova
legge analoga o non siano stati presi, se possibile, altri
provvedimenti. L' applicazione fatta dalla Corte nella sentenza n. 31
del criterio sopra esposto ne conferma, del resto, l' irrilevanza,
dal momento che e' stato ritenuto inammissibile anche un referendum
proposto contro una legge che risultava effettivamente
"discrezionale", ma la cui sostituibilita' con una norma che
perseguisse diversamente gli stessi fini appariva "politicamente"
improponibile. Per quanto concerne, infine, le conclusioni raggiunte
dalla Corte, non si puo' concordare sul fatto che l' abrogazione
delle norme relative alla disciplina della cannabis indica avrebbe
comportato l' inadempimento almeno degli obblighi sanciti dagli
articoli 22 e 28 della Convenzione unica di New York sugli
stupefacenti; viceversa, il limite posto dall' art. 75, comma 2, non
poteva operare rispetto alla legge n. 393/75 in quanto la
localizzazione delle centrali elettronucleari non costituisce
attuazione di obblighi internazionali assunti dallo Stato italiano.
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