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152819
IDG840600317
84.06.00317 - Ist. Doc. Giur. / CNR - Firenze
Mandrioli Crisanto
Termine dilatorio per far valere un diritto in giudizio; condizioni dell' azione, presupposti processuali ed altre categorie
Riv. dir. civ., an. 29 (1983), fasc. 1, pt. 1, pag. 14-43
(Bibliografia: a pie' di pagina o nel corpo del testo)
D40743
L' A. rilevato che assai di frequente nel nostro ordinamento, la legge fa dipendere la possibilita' di far valere un diritto in giudizio dall' avvenuta decorrenza di un certo termine, constata che questo fenomeno fa sorgere il problema dell' accoglibilita' o meno della domanda proposta prima della decorrenza del termine, essendo poi tale decorrenza sopravvenuta in pendenza di giudizio. Con riguardo a questo problema, l' A. prende in esame una serie di specifiche previsioni legislative (termine per la proposizione della domanda di risarcimento alla compagnia assicuratrice dei sinistri della strada; termine per la proposizione delladomanda di divorzio; termine per esercitare la c.d. azione di necessita' nelle locazioni urbane, ecc.) ponendo in evidenza, in ciascuna di esse, la ratio della prefissione del termine, la portata letterale della proposizione normativa, la soluzione che, per ciascuna di quelle previsioni, e' conseguita dalla dottrina e dalla giurisprudenza e soprattutto il metodo col quale le singole soluzioni sono conseguite. Al riguardo, constata che nei casi in cui la lettera della norma non suggerisce la soluzione con sufficiente univocita', talora la dottrina e la giurisprudenza fanno dipendere la soluzione stessa dalla presenza o meno, nella singola previsione legislativa, dei caratteri delle "condizioni dell' azione" o dei "presupposti processuali" o di altre categorie concettuali come le cc.dd. "condizioni di proponibilita'" o le "condizioni di procedibilita'"; mentre il piu' delle volte, il riferimento a tali categorie e' compiuto a posteriori con portata classificatoria e la soluzione viene fatta dipendere dalla reale (o presunta) intenzione del legislatore. Posta in evidenza la labilita' di quest' ultimo criterio anche perche' troppo spesso la proposizione normativa costituisce il risultato di compromessi, l' A. si domanda fino a che punto un impiego sistematicamente corretto dalle suddette categorie concettuali puo' rendere possibili soluzioni piu' coerenti e fondate su basi meno opinabili. A questo scopo l' A. si sofferma innanzi tutto sulla categoria delle condizioni dell' azione, rilevando come la portata di questa nozione sia mutata nel passaggio della prevalente dottrina dalla nozione c.d. concreta dell' azione alla nozione c.d. astratta e che, conseguentemente, l' impiego di questa categoria non e' ora utile per la soluzione del problema, mentre e' utile il riscontro dell' appartenenza del requisito temporale alla fattispecie sostanziale piuttosto che a quella processuale. L' A. prende quindi in esame la categoria dei presupposti processuali e constata che questa, in quanto configurata in correlazione con la funzionalita' del processo, puo' essere utilizzabile, rispetto al problema in argomento, con portata solo orientativa perche', da un lato, l' appartenenza del requisito temporale alla fattispecie processuale si risolve in un riferimento alla categoria dei presupposti processuali, mentre, dall' altro lato, questa categoria include anche ipotesi nelle quali il requisito puo' utilmente sopravvenire in pendenza di giudizio. L' A. rileva infine che le categorie delle "condizioni di procedibilita'" e delle "condizioni di proponibilita'" non presentano caratteri sufficientemente univoci per fondare soluzioni correnti. Al lume delle conclusioni raggiunte l' A. indica infine le spiegazioni che ritiene piu' corrette sotto il profilo sistematico e piu' coerenti per la soluzione dei problemi di cui alle previsioni legislative prese in esame.
Ist. per la documentazione giuridica - Firenze



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