| Lo scritto muove dalla constatazione che spesso il danno, risentito
dalla vittima di un illecito, deve misurarsi, al fine della
liquidazione in danaro, in una moneta che non ha corso legale ne' per
l' ordinamento cui appartiene l' organo giudiziale chiamato ad
operare la liquidazione stessa ne' per quello, eventualmente diverso,
che regola l' obbligazione risarcitoria: il danno deve infatti
misurarsi con lo strumento monetario avente corso legale nel luogo in
cui il danneggiato avrebbe fruito dei beni ingiustamente
sottrattigli. Segue, allora, l' interrogativo se la liquidazione
giudiziale possa operarsi - come certamente e' possibile, d' altra
parte, per quella convenzionale - con la stessa valuta adoperata per
misurare l' entita' del danno. Risolta affermativamente tale
questione, vengono esaminate, sul piano applicativo, le conseguenze
che essa comporta, in raffronto a quelle della tesi che vorrebbe
accollare al giudice il compito di operare, come presupposto della
sentenza di liquidazione e condanna, il cambio fra la valuta della
misurazioe e quella della lex obligationis applicata (coincidente, di
solito, con la lex fori). E cio', in particolare, con il riferimento
alle questioni suscitate dalla variabilita', nel tempo e nello
spazio, del corso di cambio fra le valute interessate.
| |