| L' articolo si propone di dimostrare che la facolta' di sollevare
nuove eccezioni nell' appello civile, consentita in maniera
apparentemente generale ed illimitata dall' art. 345 c.p.c., soggiace
invece ad alcune condizioni. Al fine di provare l' assunto e di
individuare in concreto i limiti in questione, vengono esaminati
alcuni importanti e complessi aspetti della struttura dell' appello
civile, come essa risulta dalla vigente legge processuale, ed in
particolare se esso abbia pieno ed automatico effetto devolutivo. Per
efficacia devolutiva si intende quella caratteristica, per cui la
proposizione dell' appello contro la sentenza di primo grado comporta
la devoluzione totale al giudice di secondo grado della materia del
contendere inerente alla domanda giudiziale, indipendentemente ed
anche oltre i motivi posti a base dell' impugnazione. Si esclude che
attualmente un tale effetto esista, ameno in forma piena ed
incondizionata, ostandovi alcune norme e principi di diritto
positivo. In particolare: l' art. 329 c.p.c., che regola l'
acquiscenza da impugnazione parziale; il principio del divieto di
reformatio in peius nell' appello; l' art. 346 c.p.c., che commina la
decadenza in appello dalle domande ed eccezioni non riproposte; l'
art. 342 c.p.c., che impone di specificare i motivi di appello. Si
pone infine in evidenza come la giurisprudenza della Supr. Corte
condivida auterevolmente il profilo dell' appello civile, che viene
tracciato nel corso dell' indagine. Si conclude chiarendo i limiti
alla facolta' di proporre nuove eccezioni in appello. Per il
soccombente esse devono essere proposte a pena di decadenza nell'
atto di appello, come motivi specifici di impugnazione contro la
sentenza. Per l' appellato vittorioso nuove eccezioni sono consentite
solo nell' ambito dei motivi sollevati dall' appellante, che segnano
i limiti della devoluzione al giudice ad quem, rendendosi altrimenti
necessario per la loro proposizione l' appello incidentale.
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