| Alla frequenza con cui compare, negli statuti di societa' cooperative
ed associazioni, la clausola che impone di deferire al giudizio dei
probiviri, nominati dall' assemblea, ogni controversia sociale non
corrisponde una tranquillante certezza in ordine agli effetti e alla
stessa validita' dell' imposizione. Discusso e', anzitutto, se la
giudizio dei probiviri possa attribuirsi natura di arbitrato, rituale
o irrituale. Attraverso la riconduzione dell' interrogativo a un
problema di teoria generale del contratto - se ed in che misura possa
deferirsi a una sola parte la determinazione dell' oggetto
contrattuale - lo scritto dimostra che la risposta dev' essere la
stessa, quale che sia la natura dell' arbitrato previsto; ma che deve
darsi, al contempo, una soluzione articolata: la clausola e' valida,
se riguarda controversie fra singoli soci; nulla, invece, con
riguardo a quelle fra socie e societa', a meno che l' atto
costitutivo non limiti, con prefissione di idonei criteri
oggettivamente verificabili, il potere di scelta dei probiviri da
parte dell' assemblea. Generalmente ammissibile - con riguardo,
pero', a quelle sole controversie che sarebbero compromettibili in
arbitri - e' invece la clausola che configura il procedimento
probivirale come condizione da adempiersi prima di poter adire al
giudice ordinario. Ma viene negato fondamento all' opinione, oggi
forse prevalente, che ammette senz' altro la conversione di clausole
concepite dalle parti come compromissorie in patti di temporanea
improponibilita', o improcedibilita', della domanda. Vengono infine
esaminati alcuni problemi di disciplina relativi a quest' ultimo tipo
di patti statutari.
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