| Dopo una breve esposizione dei precedenti storici della risoluzione
del contratto per inadempimento, l' A. si chiede quale sia la ragion
d' essere dell' istituto criticando la posizione agnostica di quell'
indirizzo dottrinario secondo il quale non va attribuita eccessiva
rilevanza all' indagine sul fondamento della risoluzione. L' A. passa
poi in rassegna le diverse concezioni della dottrina sull' argomento.
In primo luogo viene esaminata la concezione della mancanza
funzionale della causa ed in proposito, dopo aver condotto una breve
analisi comparatistica di alcuni dati sulla risoluzione del contratto
ricavati dai principali modelli giuridici europei (l' italiano, il
tedesco, lo svizzero, l' inglese e lo spagnolo), giunge alla
conclusione che tale concezione e' da respingere. Successivamente l'
autore passa ad esaminare la teoria che fonda l' istituto della
risoluzione sulla discrepanza tra la volonta' contrattuale e la
successiva situazione fattuale, determinatasi in modo diverso da
quanto era stato voluto dalle parti, la teoria secondo la quale la
risoluzione costituisce una sanzione posta dall' ordinamento
giuridico e quella per cui il fondamento della risoluzione andrebbe
individuato nella interdipendenza o connessione delle prestazioni che
i contraenti devono eseguire l' uno a favore dell' altro, e conclude
nel senso che tutte queste teorie non possono essere accolte. L' A.
esamina in seguito l' indirizzo dottrinario che identifica il
fondamento dell' istituto della risoluzione in un potere dispositivo
o di disposizione, avente carattere novativo, che verrebbe attribuito
al contraente non inadempiente, e sostiene che tale concezione non e'
utile per intendere la ratio dell' istituto. A conclusione della
propria ricerca l' A. rileva che l' istituto della risoluzione del
contratto per inadempimento ha natura preventiva e non repressiva
obbedendo essenzialmente al motivo di carattere pratico che il
permanere del rapporto contrattuale in una situazione di
inadempimento nella maggior parte dei casi e' causa solo di ulteriori
pregiudizi per il contraente non inadempiente e sostiene in
definitiva che l' istituto e' stato introdotto nel diritto per un
principio di equita' per l' esigenza di evitare, a scapito del
soggetto non inadempiente, una ingiusta distribuzione delle utilita'
di fatto realizzate dalle parti attraverso il contratto. Ed il
principio equitativo che rappresenta la ragion d' essere dell'
istituto viene individuato nella esigenza di evitare che il
contraente non inadempiente, dopo aver subito il comportamento
antigiuridico del debitore, corra pure il rischio assai probabile di
depauperare inutilmente il proprio patrimonio a motivo delle spese,
spesso onerose, occorrenti per intentare un' azione di adempimento
forzato. A conclusione del saggio l' A. pone in evidenza le possibili
conseguenze dei risultati raggiunti ai fini dell' interpretazione
della normativa sulla risoluzione e prende in considerazione un
esempio concreto in tema di contratto di associazione in
partecipazione.
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